Doppio salvataggio

Sono sopravvissuti quasi tutti i ragazzi ebrei arrivati durante la seconda guerra mondiale dalla Germania e dai Balcani a Nonantola. E si sono salvati anche 96 libri, riemersi fortunosamente da una cantina di Modena e appena restaurati.
27 Gennaio 2022 | di

Una storia di salvezza, anzi due. Nel 1942-’43, durante la seconda guerra mondiale, a Nonantola, un paese della campagna modenese, arrivarono 73 ragazzi ebrei. Il primo gruppo, 40 ragazzi, proveniva dalla Germania attraverso la Slovenia. Il secondo, 33 ragazzi, arrivava da Bosnia e Croazia, secondo piani di fuga organizzati dalle comunità ebraiche per portare in salvo i giovani in Palestina. Spiega il professor Fausto Ciuffi, direttore della Fondazione Villa Emma di Nonantola: «C’era stato il Kindertransport nel Regno Unito e questo era un altro progetto che prevedeva l’attraversamento dei Balcani per arrivare in Palestina. All’inizio del 1942, in accordo col ministero degli Interni fascista, si concesse il visto d’ingresso in Italia al primo gruppo di ragazzi. Erano in regime di internamento civile, ma non rischiavano la deportazione fino all’8 settembre del 1943. Fino a questa data molti ebrei stranieri avevano cercato riparo in Italia. La Delasem, Delegazione per l’assistenza agli emigranti ebrei, individuò Villa Emma per l’accoglienza. I ragazzi del primo gruppo erano germanofoni (provenivano dalle città di Austria e Germania). Quelli del secondo erano bosniaci, arrivavano dai Balcani, dal litorale della Dalmazia, ed erano giunti in nave fino a Trieste e poi in treno (quasi tutti i loro genitori erano già stati catturati nei rastrellamenti tedeschi)».

Erano accompagnati da adulti, tra cui Josef Indig, l’educatore di riferimento. Ai ragazzi lontani da casa, senza famiglia, si cercò di dare una parvenza di normalità, quindi fu garantita anche la scuola. Vennero organizzate per loro lezioni di lingue, matematica, geografia, laboratori di falegnameria, agricoltura insegnata dai contadini nonantolani. Fu allestita una biblioteca di oltre 828 volumi (secondo la ricostruzione dello storico Klaus Voigt) mettendo insieme i libri forniti dalla Delasem e quelli dei ragazzi stessi che nella fuga li avevano portati con sé tra le cose essenziali. I volumi di cultura ebraica e letteratura consentivano ore di lettura e di studio, allontanavano le preoccupazioni. Gli insegnanti a Villa Emma erano, insieme ad altri, gli accompagnatori. Per due ragazzi portati per l’arte, invece, si individuarono dei corsi presso scuole di Modena.

Amici nonantolani

A Nonantola i giovani trovarono una casa, degli amici. «L’organizzazione della vita quotidiana – continua il professor Ciuffi – è stata resa possibile anche grazie al paese. Occorrevano letti, stufe, sedie: i cittadini di Nonantola si attivarono… La Delasem organizzò un sistema di buoni pasto con cui all’inizio i ragazzi poterono mangiare nelle trattorie del paese. Il gruppo dei piccoli perseguitati si aprì ai contatti con la comunità. Ci furono delle persone del paese che diventarono “volani positivi”: le due figure che orientarono maggiormente la popolazione furono don Arrigo Beccari, economo del seminario, che contribuì anche all’organizzazione della loro fuga nel 1943, e il medico del paese, dottor Giuseppe Moreali, che curava tutti i ragazzi collaborando con la dottoressa Cavaglione, ebrea italiana aggregata al gruppo». Don Arrigo, che fu anche arrestato, e il dottor Moreali sono stati in seguito riconosciuti Giusti tra le Nazioni.

La fuga in Svizzera

I ragazzi restarono a Villa Emma fino all’8 settembre del 1943, quando, dopo l’Armistizio, la permanenza diventò troppo pericolosa. Alcune persone di Nonantola si occuparono del­l’organizzazione della loro fuga in Svizzera. Le «sartine» (giovanissime ragazze) fecero i cappotti («settanta paletot in tre giorni», come raccontano loro stesse, intervistate, nel sito www.fondazionevillaemma.org/archivio) per il gruppo che doveva fuggire, come se si trattasse di collegiali in gita scolastica. Il 9 settembre, quando le truppe tedesche entrarono a Nonantola, i ragazzi erano già nascosti nel seminario o presso famiglie del paese. Nell’ottobre del 1943, divisi in tre gruppi, raggiunsero la Svizzera e, nel 1945, quasi tutti arrivarono in Palestina salvi, eccetto Salomon Papo e Goffredo Pacifici che furono deportati ad Auschwitz.

«Di fatto questa è stata una forma di resistenza – dice Ciuffi –. Organizzare un’esperienza di scuola era importante, perché bisognava restare attivi e preparare il futuro del gruppo. C’è anche un testo scritto all’epoca: il Diario di Sonja Borus. Fuga e aliyah di un’adolescente berlinese, 1941-1946, a cura di Klaus Voigt, pubblicato da Il Mulino. Molti di quei ragazzi alla fine della guerra sono andati a lavorare nei kibbutz in Israele, alcuni in America, un paio sono rientrati nei Balcani, solo due hanno ritrovato le famiglie superstiti. Con alcuni archivi stiamo ricostruendo le vicende biografiche di alcuni di loro. Molti sono ancora vivi».

I libri salvati

Il secondo salvataggio è avvenuto ai giorni nostri e non riguarda le persone, ma i libri. Volumi riemersi rocambolescamente da due casse di legno dimenticate in una cantina di Modena. «Ne abbiamo ritrovati 96 – sottolinea Ciuffi – nella casa della sorella delle due persone che avevano preso i libri a Villa Emma dopo l’8 settembre». Proprio nei giorni in cui venne abbandonata la villa, i fratelli Renato ed Ermes Borsari, giovani studenti del luogo, recuperarono con un carretto diversi volumi dalla biblioteca nella residenza vuota. Quasi 80 anni dopo, durante i lavori di ristrutturazione dell’appartamento a Modena, vennero fuori questi libri in tedesco, in ebraico e in italiano con il timbro a inchiostro «Delasem-Villa Emma». Questi libri sono stati analizzati e restaurati con un progetto della Regione Emilia Romagna: appunti a matita, segnalibri, nomi dei ragazzi scritti a penna o a matita, una foglia di palma in un libro di preghiera…  ogni traccia lasciata dai giovani ebrei è stata conservata.

Nel 1942 i volumi della biblioteca di Villa Emma erano ben 828. Vi erano dizionari, opere teatrali, narrativa, poesie, calendari, almanacchi, cataloghi di case editrici. I ragazzi ne andavano fieri. Leo Koffler scriveva: «Il vanto di Villa Emma era la nostra biblioteca, con libri in oltre quattro lingue… La biblioteca ci ha insegnato a considerare un buon libro un tesoro prezioso e ha dato un contributo importante all’istruzione di ognuno di noi. Le opere di autori ebrei, come Wassermann, Zweig e Heine, e di altri, come Galsworthy, Zola, P. S. Buck, Bromfield, Dostoevskij e Tolstoj, erano le più lette. Il buon libro ha abbellito la nostra vita in quell’oasi nel mezzo dell’infuriare della guerra». E come, dopo tante pagine tristi per la mancanza di mamma e fratelli, riconosceva Sonja Borus nel suo struggente diario: «Qui ci sono libri così belli che uno riesce proprio a immedesimarsi nelle loro storie. Si aspetta sempre con gioia di leggere un libro. Non vorrei esagerare, ma adesso qui sto proprio bene» (Diario di Sonja, 29 settembre 1942).

 


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Data di aggiornamento: 28 Gennaio 2022
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