Elisabetta d’Ungheria, umiltà e carità
L’Ordine francescano secolare festeggia, insieme a tutta la Chiesa, il ricordo della sua patrona il 17 novembre: santa Elisabetta d’Ungheria. Nata a Bratislava (attuale capitale della Slovacchia) nel 1207, figlia del re d’Ungheria, fidanzata già all’età di quattro anni col figlio Ludovico del re di Turingia, si sposa con lui nel 1221, diventando Elisabetta di Turingia. Hanno tre figli, ma purtroppo il marito muore di un male contagioso mentre si sta recando in Palestina per la sesta crociata (1227). L’anno dopo, Elisabetta decide di vivere in povertà, servendo i malati e i più miserabili, e dedicandosi alla preghiera: una breve vita, ma molto intensa e piena, che si conclude nel 1231, a Marburgo.
Una giovane donna del suo rango avrebbe potuto facilmente risposarsi, avendo appena 20 anni; ma la sua storia è diversa, come affermano le testimonianze che abbiamo su di lei. In particolare i “Detti delle quattro ancelle” e la “Lettera di Corrado di Marburgo a Gregorio IX”, entrambi parte del suo processo di canonizzazione. Il primo aiuta a conoscere la vita quotidiana di Elisabetta, grazie alle parole di quattro ancelle di Elisabetta: Guda, Isentrude, Elisabetta ed Ermengarda; il secondo è il rapporto del suo confessore e padre spirituale, anche nella fatica di accompagnare un’anima così speciale.
Fin da piccola, Elisabetta aveva espresso una forte sensibilità religiosa, vissuta attraverso gesti semplici come l’inginocchiarsi spesso nella cappella della casa, unita alla carità verso gli altri. Tutto ciò era motivo di meraviglia da parte delle sue damigelle, in quanto i suoi atti non erano degni di una principessa, come troviamo in queste parole della testimonianza di Isentrude: «Un giorno prese con sé di nascosto un mendicante infermo dall’aspetto orribile, sofferente di una malattia alla testa. Con le proprie mani tagliò i capelli di lui molto imbrattati, tenendo il capo del malato inclinato sopra il proprio grembo. Poi gli lavò la testa nel lavabo privato per sfuggire a occhi indiscreti. Quando giunsero le sue ancelle e la ripresero per tale motivo, Elisabetta rispose sorridendo». Ecco uno tra i tantissimi esempi di atti di carità compiuti da Elisabetta; durante la carestia del 1226, mentre il marito era assente, fa costruire un ospedale per malati e bisognosi e fa erogare in beneficenza molti beni ai poveri; sino alla fine della vita compie un’incessante opera di sostegno e aiuto concreto agli ultimi.
Il movimento francescano era appena agli inizi (Francesco muore nel 1226) e lei ne era venuta a conoscenza, al punto che aveva accolto alcuni frati minori affidandogli una chiesa a Eisenach, e traendone impulso per la sua vita cristiana. In lei rintracciamo tratti squisitamente francescani: l’attenzione agli ultimi che diventa condivisione della loro condizione (ad esempio, Elisabetta voleva andare di persona a fare la questua); lo spirito di orazione e devozione che deve stare sopra a tutte le cose («Come tu, Signore, vuoi essere con me, così anch’io voglio essere con te e non voglio separarmi mai da te», dice un giorno in preghiera); la responsabilità verso il suo stato di vita, come madre e moglie, che alla morte dell’amato marito lo piange, rinnovando la sua fede in Dio: «Se potessi riaverlo con me, darei in cambio tutto il mondo, anche se dovessi andare mendicando insieme a lui. Ora io raccomando lui e me alla tua grazia. Quanto a noi sia fatta la tua volontà».