La Carità all’ombra del Santo
La Carità, virtù cristiana cara a sant’Antonio, il quale la testimoniò con la sua stessa vita, ha da sempre trovato nei frati e nei padovani un’attenta accoglienza, ed è cresciuta nel corso dei secoli, attorno alla Basilica del Santo. Un’iniziativa concreta, forse la più famosa legata al Santo, è senz’altro il «Pane di sant’Antonio», che trova le sue radici nella devozione del pondus pueri: un infante era morto cadendo in una pentola di acqua bollente e la madre aveva fatto voto a sant’Antonio di donare tanto frumento per i poveri della città quanto era il peso del bambino, se questi fosse tornato in vita. Il miracolo si compì e la promessa venne mantenuta, dando origine alla pratica devozionale.
L’impegno a beneficio dei poveri proseguì grazie alla Confraternita di sant’Antonio, costituita da devoti al Santo che, oltre a partecipare alla preghiera e al culto divino, si spendevano per le necessità dei poveri: una «madre» sollecita per i bisogni degli indigenti, che, sempre nel nascondimento, provvedeva alla distribuzione di denaro, generi alimentari (soprattutto frumento), vestiti, e si prodigava per garantire abitazioni. Nel 1499 la Confraternita ottenne dai frati del Santo di poter costruire il suo oratorio, nel terreno adiacente alla chiesa di San Giorgio: è l’attuale Scuola del Santo, detta anche Scoletta, impreziosita poi dai dipinti di Tiziano Vecellio.
La rinascita moderna dell’opera del Pane di sant’Antonio risale agli ultimi anni del XIX secolo. Nel 1887, don Antonio Locatelli, prete della diocesi di Padova, avviò un’attività di distribuzione del pane per i bisognosi, in nome di sant’Antonio, attraverso l’Associazione Universale da lui fondata presso un oratorio della città, alla quale cominciarono a pervenire molte offerte. Negli stessi anni anche in Francia, a Tolone, sorgeva un’opera dello stesso tipo, con grande successo. Ma fu con la nascita de «Il Messaggiero di s. Antonio», nel 1898, che il Pane di sant’Antonio si diffuse in modo esponenziale. Infatti, tra gli obiettivi iniziali della rivista vi era anche quello di parlare «dell’opera tanto cara del pane dei poveri [...] per la quale il nome di Antonio è così amato, dai tanti che nei loro bisogni hanno ritrovato in Lui quel soccorritore pietoso, che invano aveano cercato negli uomini del mondo…».
Contestualmente venne anche posta una cassetta all’Arca del Santo e divulgata questa iniziativa presso ogni chiesa conventuale della Provincia religiosa dei frati. Così, presso la Basilica antoniana, divenuta sede ufficiale dell’opera, alle ore nove di ogni giorno un frate cominciò a distribuire il pane ai poveri e, parallelamente, in ogni numero del «Messaggiero» si iniziò a dare conto delle offerte che giungevano da ogni parte dell’Italia: i numeri aumentavano di mese in mese, e, nel giro di dieci anni, vennero anche varcate abbondantemente (grazie ai missionari) le frontiere del Paese (si arrivò in Brasile e pure in Cina). Dal 1929, con i Patti Lateranensi, la Basilica venne posta sotto la diretta giurisdizione della Santa Sede, ma venne stabilito che le offerte raccolte per l’opera del Pane dei poveri continuassero ad andare a sostenere l’acquisto di pane da distribuire agli indigenti.
Altre forme di Carità si svilupparono dopo il Secondo conflitto mondiale. La prima fu la «Pia opera delle minestre dei Poveri», nata nel 1947 per rispondere alle richieste di molte famiglie cadute in miseria, che si rivolgevano ai frati. Per far fronte a queste necessità, un frate del convento del Santo, fra Pio Populin, girava per la città facendo la questua per raccogliere quanto occorreva; la minestra veniva poi concretamente preparata dalle sorelle dell’allora Terz’Ordine francescano (oggi Ordine francescano secolare) e distribuita da un frate e da alcuni terziari. In poco tempo i bisogni crebbero e fu necessaria una maggiore organizzazione: si affacciarono molti benefattori e anche l’opera del Pane dei poveri intervenne a sostegno dell’iniziativa.
Nel 1948 un’altra esigenza bussò alle porte del convento: le case erano fredde, ma non si trovava legna da ardere. Iniziò allora la distribuzione di legna per i bisognosi, sostenuta in particolar modo dall’Arciconfraternita del Santo. Anche in questo caso la riuscita fu enorme: si passò da 200 quintali distribuiti nel 1948 a più di mille nel 1952. Un’altra situazione di povertà che venne presa a cuore dai frati fu quella dei carcerati. Già il Pane di sant’Antonio, a partire dal 1947, versava una cifra mensile per la loro assistenza, ma, a partire dal 1953, due frati iniziarono un vero e proprio servizio presso il carcere, alloggiando in un’abitazione attigua e provvedendo all’assistenza spirituale e materiale dei detenuti; in particolare si adoperavano per garantire il contatto con le famiglie o l’aiuto, terminata la pena, al reinserimento nella vita civile.
Infine, a partire dal 1958, per meglio organizzare l’attività caritativa dei frati, nacque la Caritas Antoniana, diretta inizialmente da fra Venanzio Paternoster e portata avanti con l’aiuto di due signore, che tenevano l’amministrazione e confezionavano e distribuivano pacchi di viveri e indumenti. Molte persone da subito vennero a chiedere aiuto: per ciascuna di esse veniva stilata una scheda, sorta di precursore di quei progetti che oggi Caritas sant’Antonio elabora in risposta a esigenze che arrivano da tutto il mondo.
Come abbiamo visto, la Carità si concretizza a partire da semplici iniziative che, fecondate dalla generosità e dalla solidarietà di molti e benedette dal Santo, portano copiosi frutti. Come ricordava fra Giordano Tollardo, studioso e amico di sant’Antonio: «Questo è il nuovo grande miracolo sociale del Santo: convertire il denaro, fonte di odio, di delitti, di vendette e di guerre, in un fiume perenne di carità e di bene».
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