Diplomati in solidarietà
La formazione in contesti di povertà serve spesso più del pane. Ne è esempio un progetto nella diocesi di Scutari-Pult, in Albania, che prepara gli operatori sociosanitari sia delle strutture ecclesiali sia statali e che non a caso è stato sostenuto per due anni consecutivi da Caritas sant’Antonio. Un progetto in apparenza piccolo, ma che ha la potenzialità di creare un sistema territoriale integrato di aiuto e sviluppo dalle notevoli ricadute per i più poveri.
La diocesi di Scutari-Pult è la più grande in Albania e la sua Caritas si trova da oltre 30 anni in prima linea non solo a gestire le emergenze ma a cercare di aiutare le persone a uscire dalla marginalità. Un lavoro immane perché, dopo la caduta del regime comunista, il tessuto sociale era sfilacciato, i problemi erano enormi e non esisteva un terzo settore o una tradizione di volontariato che potessero contribuire a lenirli. Si è dovuto costruire tutto da zero, ma con una serie di lacune, dovute anche alle troppe emergenze e alla latitanza dello Stato.
«Abbiamo dovuto affrontare nevicate eccezionali, inondazioni, terremoti, da ultimo il covid e poi la guerra, quella del Kosovo prima, nel 1999, che ha portato qui migliaia di profughi, e quella in Ucraina ora» afferma Teresa Ferra, suora stimmatina, responsabile del progetto insieme a Dom Gjovalin, direttore della Caritas. E poi la quotidianità: l’assistenza ai malati, ai senza tetto, agli indigenti: «Ci sta molto a cuore anche la formazione dei giovani, perché non emigrino ma trovino un lavoro qui e ci aiutino a costruire il futuro».
La Chiesa in questo territorio è uno dei pochi punti di riferimento, nonostante il Paese sia a maggioranza musulmana: «Nella nostra diocesi – spiega Angelo Massafra, arcivescovo metropolita di Scutari – ci sono più di 300 persone disabili, orfane, malate, anziane, accolte nelle strutture cattoliche, e tanti operatori che lavorano per essi». Personale spesso poco professionalizzato e che in alcuni casi ha accettato il lavoro più per necessità che per scelta, senza coglierne il valore sociale. Una carenza che investe anche le strutture sociosanitarie statali: «Ma che diventa ancora più grave per la Chiesa, dalla quale le persone si aspettano il meglio».
La Caritas ha quindi formato un tavolo di lavoro insieme a tutte le realtà del territorio, enti, istituzioni, gruppi, che potevano dare una mano a creare un corso sociosanitario professionale di buon livello. Tra essi, l’Associazione Fisioterapisti albanesi, il dipartimento di Infermieristica dell’Università di Scutari e le realtà sociosanitarie ecclesiali coinvolte. Il progetto avrà come impatto immediato quello di migliorare la vita delle persone nelle strutture, ma avrà altri effetti positivi secondari, perché «sarà aperto anche al personale delle realtà statali e ai giovani che vogliono specializzarsi nelle professioni sociosanitarie – spiega suor Tereza –. Un’apertura al territorio che sarà da stimolo anche per il volontariato».
Nasce così il progetto di un corso annuale, diviso in due parti, per un massimo di 35 partecipanti. Nella prima, che consta di 80 ore di lezione in 5 mesi, ogni partecipante dovrà dedicare 20 ore di attività volontaria a una struttura pubblica o privata, prendendosi cura di un malato assegnato dagli insegnanti. Nella seconda parte dell’anno sono previste altre cinque giornate formative e un esame finale che darà accesso all’attestato di operatore sociosanitario, riconosciuto anche dal Servizio sociale della provincia di Scutari, quindi valido per ogni tipo di struttura pubblica o privata.
«Con le nostre sole forze non ce la facciamo – scrive la suora, nella lettera del settembre 2022 –, arriviamo a coprire circa un quarto dei costi vivi, ma se ci darete una mano non solo saremo in grado di migliorare il servizio alle persone, ma anche di aprire percorsi professionali per i giovani». Caritas sant’Antonio accetta di pagare i costi restanti, 7.300 euro, per il 2023 e, vista l’efficacia del progetto, reitera l’aiuto per il 2024 con altri 8.900 euro.
Il corso è un successo da molti punti di vista, in entrambe le sue edizioni, non solo perché ha formato operatori sociosanitari professionisti, ma perché «entrando nelle strutture ha creato curiosità e dibattito, ha messo a nudo le carenze, ha risvegliato motivazioni e richieste, da parte del personale, anche di quello non coinvolto, di avere una formazione continua, ha creato sinergie tra diverse realtà del territorio, ha fatto da pungolo alle istituzioni e ridato dignità e competenza a un lavoro poco considerato, così vitale proprio per i più deboli». A riprova che condividere un’esperienza umana e sociale forte è il modo migliore di costruire una comunità solidale.
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org.
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