Discernimento, questione di relazioni
Un tema che forse oggi è andato un po’ fuori moda è il discernimento. Questo atto, che coinvolge tutta la persona, consiste nel vagliare con attenzione una certa situazione per comprendere quale scelta fare. Riguarda un po’ tutta la nostra vita, dalle decisioni più semplici e quotidiane, come l’alimentazione, il vestito, l’organizzazione del tempo, a quelle che segnano in modo importante il nostro percorso, come le scelte di vita, il lavoro, la scuola…
È chiaro che il peso di ogni decisione è diverso, ma è anche vero che a partire dalle piccole scelte impariamo a compiere quelle grandi. Penso sia importante chiederci: come scegliamo noi oggi? In base a quali criteri? Chiaramente ci sono campi nella vita umana che richiedono diversi tipi di competenze. Prendere una decisione in campo medico non è lo stesso che in campo economico, eppure c’è un elemento che permane in tutti gli ambiti: il fatto che noi, esseri umani, siamo coinvolti in questo, che il discernimento è un fatto umano.
Che cosa ci guida nel discernimento? Spesso il buon senso, quello che abbiamo capito dalla vita, che però corre il rischio di diventare un po’ autoreferenziale. Non dimentichiamoci da dove veniamo: è paradigmatico l’episodio della Genesi, in cui prevale la pretesa dell’uomo di conoscere tutto, di comprendere tutto, senza riconoscere la propria creaturalità, il semplice fatto che non ci diamo la vita da soli. A volte sembra prevalere l’idea: «So io ciò che è bene per me», che pare mettere in primo piano la libertà della persona, nella sua capacità di autodeterminarsi; in realtà, più fondiamo le nostre decisioni solo su noi stessi, più siamo soggetti ai preconcetti che ci portiamo dietro, a quegli automatismi a cui siamo legati. È davvero libertà questa?
Anche il mondo emotivo ha un peso importante nelle scelte, specialmente quando entra in gioco la paura, che oggi è rinforzata da polarizzazione e conflittualità sempre più intense: ti devi schierare, da una parte o dall’altra, non c’è spazio per il dialogo o per il confronto. Questo non aiuta il discernimento, che non può essere guidato solo dalle emozioni, ma ha bisogno di trovare ragione e riscontro nella realtà.
I nostri santi, Francesco e Antonio, ma anche molti altri, ci mostrano, attraverso la vita buona che hanno vissuto, anche se non sempre semplice, che il Vangelo è un valido criterio perché il nostro discernimento sia davvero umano, cioè rivolto al compimento della persona. E che cosa dice il Vangelo? Be’, molte cose. Anzi, ogni passo, ogni brano aiuta ad affinare il discernimento. Una sintesi importante è però il comandamento dell’amore, che pone come criterio di discernimento questo: orientarsi verso ciò che mi aiuta ad amare di più Dio e il prossimo.
Il discernimento si gioca quindi nelle relazioni, non è qualcosa di autoreferenziale. Ad esempio, quando Francesco inizia il suo cammino di conversione, l’ascolto di un brano del Vangelo lo tocca profondamente e si confronta con un prete, perché glielo spieghi: a quel punto comprende che quella è la sua strada. Oppure, quando si aggregano a lui dei compagni, non decide autonomamente come procedere, ma pone la questione al Papa. Ancora, quando si chiede se sia meglio che lui si «dia tutto all’orazione o che vada attorno a predicare»: porta i suoi motivi per l’una e per l’altra, si confronta con i suoi frati, anche con Chiara e fra Silvestro, per comprendere meglio quale sia la volontà di Dio (cfr. Leggenda Maggiore XII,1-2, FF 1203-1205).
Il discernimento è un percorso che non si improvvisa, ma richiede attenzione alla realtà che stiamo vivendo, buoni criteri per affrontarlo e un confronto umano, pur restando la scelta personale e non delegabile ad altri.
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