01 Giugno 2024

Antonio, Vangelo e Carità

Per noi il Santo è un consolatore e un sostegno. Ma è anche un amico che ci invita a vivere la vita buona del Vangelo e la dimensione della Carità.
Statua di sant'Antonio con Gesù Bambino, libro e giglio (particolare), Santuario di sant'Antonio, Lac, Albania.
Statua di sant'Antonio con Gesù Bambino, libro e giglio (particolare), Santuario di sant'Antonio, Lac, Albania.
© Andrea Semplici / Archivio MSA

L’affetto che ci lega al Santo di Padova nasce nei modi e per i motivi più disparati: una tradizione di famiglia, la presenza di un’immagine a casa o nelle vicinanze (in quasi tutte le chiese c’è un’immagine di sant’Antonio, in ogni paese almeno un capitello dedicato a lui), anche la lettura di questa stessa rivista. Che cosa cerchiamo nel Santo di Padova? Spesso un consolatore, un amico, uno che ci comprenda e ci aiuti nelle situazioni della nostra vita.
Anche il Santo, però, cerca qualcosa in noi
: desidera che viviamo la vita buona del Vangelo, praticando le virtù, di cui la principale è la carità. Ma che cos’è la carità? Antonio ne parla più volte nei suoi sermoni; in uno di essi riprende la parabola di Lazzaro e del ricco epulone. In particolare, sottolinea che il ricco non è vissuto nella carità e così è rimasto nella morte, perché, come dice Giovanni nella sua Lettera, «chi non ama rimane nella morte» (1Gv 3,14). Anzi, Antonio afferma che il ricco «fu sepolto vivo perché non amò la vita, che è amore; peccò perché nell’amore capovolse l’ordine dei valori» (Sermone per la I domenica dopo Pentecoste).

Riprendendo sant’Agostino, il frate portoghese illustra qual è quest’ordine dei valori: «Quattro cose si devono amare: primo, colui che è sopra di noi, cioè Dio; secondo, ciò che siamo noi (noi stessi); terzo, ciò che ci è vicino, cioè il prossimo; quarto, ciò che è sotto di noi, cioè il corpo». Al contrario, il ricco ama soprattutto il suo corpo e del resto poco si cura: non si degna neanche di guardare Lazzaro, non si interessa della sua situazione e così perde l’occasione di riconoscere il prossimo come fratello e di amare. Questo accade anche nella nostra vita, in tante situazioni, e spesso ci chiediamo come sia giusto agire. A volte siamo troppo centrati su di noi e non vediamo la storia degli altri; in altri casi, dell’altro abbiamo paura, non sappiamo se fidarci davvero. È bene porsi questi interrogativi, soprattutto rendersi conto che spesso non riusciamo ad aiutare una persona in difficoltà da soli: c’è bisogno di una rete di relazioni per cambiare le cose.

 

Certo, da qualche parte bisogna iniziare… e spesso fatichiamo a fare il primo passo. Prezioso è il servizio svolto dai volontari, in tante diverse realtà: è un’occasione grande di carità. Tuttavia, anche qui, a volte ci spendiamo tanto e magari perdiamo di vista il senso profondo del nostro fare: subentra la necessità del riconoscimento, dell’affermazione personale… non è più un atto gratuito e soprattutto grato. Sì, perché il servizio che svolgo ha senso nella misura in cui nasce dalla gratitudine per qualcosa che già ho ricevuto, altrimenti rischia di ridursi a un mero sforzo personale. Non per nulla Antonio, sulla scia di Agostino (e del Vangelo), afferma che per secondo bisogna amare se stessi, prendersi cura di sé: questo può avvenire in tanti modi. Anzitutto la cura degli altri nei miei confronti: non sempre è scontato accettare la benevolenza o l’aiuto altrui. Poi la formazione personale per poter vivere consapevolmente nell’ambiente in cui mi trovo. Infine, anche lo stesso riposo rientra nel prendersi cura di sé.

Concludendo, ci chiediamo: che cosa fare se si raffredda la carità? Ne parla sempre Antonio in un altro sermone, riprendendo la parabola della dramma perduta, che simboleggia proprio chi perde la carità. Per ritrovarla, seguiamo la donna che illumina la stanza con la lucerna, riconoscendo anzitutto la nostra fragilità (siamo vasi di creta, come la lucerna), accendendo «l’olio della misericordia (verso il prossimo) con la fiamma dell’amore divino», per esplorare con essa «ogni angolo della nostra coscienza e cercare con ogni diligenza la dramma della duplice carità» (Sermone per la III domenica dopo Pentecoste, 14).

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Data di aggiornamento: 01 Giugno 2024
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