Febbraio in nero
Il «Black history month» – in italiano «Mese della storia dei neri» – è una ricorrenza che mira a celebrare le persone e gli eventi legati, appunto, alla storia e alle culture afrodiscendenti. Un mese in cui, attraverso manifestazioni legate a diverse discipline artistiche, momenti ludici e di intrattenimento, incontri politici, letterari e culinari, si cerca di dare maggiore visibilità e protagonismo alle persone nere, trasformandole da oggetti a soggetti della narrazione.
Ma, per capire l’origine di questa consuetudine, dobbiamo andare indietro, al 1926, quando lo storico Carter G. Woodson e l’Asalh (Associazione per lo studio della vita e della storia afroamericana) decisero di istituire la «Negro history week» e di festeggiarla la seconda settimana di febbraio, periodo in cui ricorrono i compleanni di due figure chiave nella lotta per i diritti delle persone afrodiscendenti negli Stati Uniti: Abraham Lincoln e Frederick Douglass. L’idea nacque dalla volontà di favorire l’insegnamento sistematico della storia dei neri americani nelle scuole pubbliche della nazione. Accolta tiepidamente, la prima «Negro history week» ottenne il supporto dei Dipartimenti dell’Educazione degli stati della Carolina del Nord, Delaware e Virginia Occidentale, oltre che delle amministrazioni scolastiche di Baltimora e Washington.
Con il passare dei decenni, la «Negro history week» crebbe in popolarità, tanto che alcuni sindaci statunitensi iniziarono a trattarla come una festività. Nel 1969, il gruppo «Black united students» della Kent State University decise di estendere l’iniziativa a tutto il mese di febbraio, dando vita alla prima edizione del «Black history month». Nel 1976, durante la presidenza di Gerald Ford, il «Black history month» ottenne il riconoscimento ufficiale da parte del governo americano.
Oltre i confini
Questa esperienza storica, nel corso degli anni, ha superato i confini degli Stati Uniti arrivando anche in Italia. Nel 2019 è nato il «Black history month Bologna» e, un anno dopo, in piena pandemia, un’associazione ha deciso di replicare l’iniziativa anche a Torino. «L’associazione “Donne Africa Subsahariana e Seconda Generazione” ha infatti sentito l’esigenza di prendere ispirazione dall’esperienzae di Bologna e inaugurare la prima edizione torinese» spiega Suad Omar, la direttrice del festival, raccontando la nascita di questa iniziativa. A causa della pandemia, è stata realizzata una prima edizione ibrida, in parte online e in parte dal vivo.
L’edizione 2021, invece, è stata un evento di grande presenza e impatto. Suad Omar descrive così lo spirito del festival: «L’obiettivo è quello di presidiare i luoghi dove le persone nere non sono visibili e di uscire dalle logiche di un festival folkloristico, confinato nei luoghi tradizionali e frequentati dalle persone nere appunto. Abbiamo deciso di favorire quell’incontro che, con fatica, avviene oggi in Italia. Un incontro che prevede il protagonismo delle persone afrodiscendenti, capaci di presidiare spazi dove solitamente la loro presenza non c’è». I musei regionali e nazionali, i grandi centri culturali, le gallerie d’arte e le librerie sono solo alcuni dei luoghi in cui, per tutto il mese di febbraio, il «Black history month Torino» entra, proponendo una serie di eventi preziosi.
L’edizione 2024 del festival ha raggiunto un risultato straordinario, realizzando più di centoventi eventi in cinque comuni della provincia sabauda, ospitati in ottantacinque luoghi, e coinvolgendo almeno 40mila persone. «Così si realizza una narrazione diversa dell’Africa e delle persone nere. È un’occasione preziosa in cui noi afrodiscendenti ci raccontiamo in prima persona e proponiamo tutto ciò che sappiamo fare: arte, artigianato, cucina, sport, letteratura, lotta per i diritti umani e ambientali» spiega Suad Omar, sottolineando l’importanza di questo evento che, in questo 2025, celebra la sua quinta edizione.
Il «Black history month Torino» è senza dubbio una bussola importante per le giovani generazioni afrodiscendenti, che con grande difficoltà cercano di orientarsi nella quotidianità italiana. Una quotidianità che, purtroppo, è sempre più caratterizzata da respingimenti e ostilità, piuttosto che da accoglienza. Quest’atmosfera politica e culturale si manifesta in modo particolarmente pesante ogni volta che si tenta di aprire un dibattito sul riconoscimento della cittadinanza italiana per chi nasce nel Bel Paese da genitori privi di cittadinanza. In questi cinque anni, il «Black history month Torino» ha ospitato figure di grande rilievo, tra cui il filosofo Bayo Akomolafe, la regista Sabrina Onana, il danzatore Michel Ngaba, il gruppo musicale Gnawa Koyo, la filosofa Marie Moise, la giornalista Louisa Yousfi, la scrittrice Talatou Clementine, la cantante Maam Jaara Gueye, il poeta Mohamed Amine Bour, il professore universitario Antumi Toasijè e la musicista Mariaa Siga.
Tutto questo è il risultato del lavoro di un gruppo che opera per mesi e mesi, composto principalmente da donne. Tra loro c’è anche Hanane Makhloufi, giovane poetessa e curatrice afrodiscendente, membro dell’associazione che organizza il festival. Makhloufi si occupa dei laboratori artistici e didattici rivolti alle scuole e, da tre anni, cura alcune parti del programma. «Grazie a questa manifestazione, il mese di febbraio diventa un momento dedicato alla riflessione su tematiche legate all’Africa, che ci permettono di cambiare il nostro immaginario a riguardo. Sappiamo quanto le migrazioni e i migranti siano sempre al centro di alcune politiche, spesso di propaganda, ma non conosciamo realmente questo continente» afferma Makhloufi. Oltretutto Torino è città a forte presenza di migranti di origine africana: secondo i dati Istat, la città sabauda è infatti la terza d’Italia per numero di residenti appartenenti alla comunità africana. Per questo, sottolinea ancora Makhloufi, è fondamentale confrontarsi con un tessuto sociale variegato.
Un altro punto di forza di questo prezioso festival è senza dubbio la capacità di collegare il passato al presente. «Raccontare il contributo del continente africano alla storia europea e italiana, per comprendere alcuni aspetti sociali e culturali del contemporaneo, è un elemento importante. Il “Black history month” diventa così un percorso condiviso con le realtà coinvolte e con il pubblico, per creare dialoghi e costruire insieme un futuro sensibile alle diversità e alle persone». In questa ottica va ricordato che, in quasi tutte le edizioni, il «Black history month Torino» ha aperto occasioni di riflessione sul colonialismo italiano in Africa, attraverso dibattiti e mostre. Un esempio significativo è l’esposizione del 2024, «Africa. Le collezioni dimenticate», realizzata in collaborazione con i Musei Reali di Torino.
La manifestazione è realizzata grazie al prezioso contributo della Fondazione San Paolo e al sostegno di una rete di realtà associative, museali e istituzionali. Inoltre, si avvale di collaborazioni con più di cento realtà e coinvolge tutto il territorio della provincia di Torino.
Questa edizione 2025 propone una serie di appuntamenti straordinari, come i dibattiti sulle relazioni tra Africa, Cina e Turchia; il concerto di Awa Fall e Francesca English; la presentazione del libro Maranza di tutto il mondo unitevi! (Derive Approdi) alla presenza dell’autrice Houria Bouteldja; il concerto del pianista Ian Elly Ssali Kiggundu presso i Musei Reali; lo stand-up comedy di Nathan Kiboba; e la mostra fotografica «Santeria e Candomblé», che esplora una spiritualità afrodiscendente ancora poco conosciuta.
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