22 Aprile 2020

Ferruccio Soleri: «Piacere, Arlecchino»

Ambasciatore delle arti sceniche italiane. Novant’anni già compiuti, sessanta dei quali con la famosa maschera che l’ha reso famoso in tutto il mondo. 
Nel 2006 Soleri ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia.
Nel 2006 Soleri ha ricevuto il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia.
© Lawrence K. Ho / Los Angeles Times via Getty Images

Giorgio Strehler glielo ripeteva scherzosamente a ogni compleanno: «Com’è che tu invecchi e il tuo Arlecchino è sempre più giovane?». Sorride Ferruccio Soleri, interprete della famosa maschera per sessant’anni e protagonista della più longeva pièce teatrale italiana nel mondo, quando riferisce questo aneddoto. A 90 anni compiuti racconta con orgoglio la sua lunga attività nei panni di Arlecchino, una maschera che l’ha attratto fin da bambino. Una vita di capriole, gesti, parole in veneziano che l’hanno fatto entrare nel cuore di tutti. Dopo tanti anni ha riposto la maschera e il costume a toppe colorate nell’armadio, con il ricordo di tantissime risate e altrettanti applausi. 

Msa. Maestro, lei è l’attore italiano più conosciuto e amato nel mondo. Che effetto fa?
Soleri. È un grandissimo onore. Mi rende particolarmente felice, anche perché ho dedicato gran parte della mia vita professionale a un personaggio, Arlecchino, che tutto il mondo ha imparato a conoscere e amare attraverso le mie innumerevoli interpretazioni in Italia e all’estero.

Una professione iniziata in giovanissima età.
Ero da poco arrivato all’Accademia nazionale d’arte drammatica «Silvio D’Amico», quando il mio insegnante e regista Orazio Costa mi chiamò a interpretare Arlecchino nella commedia di Carlo Goldoni La figlia obbediente. Mi disse: «Soleri, tu sei l’Arlecchino!». Pensai: io di origine fiorentina, con una maschera veneziana. Fu così. Lo interpretai con grande timore, ma tutto andò bene e fu un successo.

Poi il debutto al Piccolo Teatro di Milano.
Fu il grande regista Giorgio Strehler a scegliermi, nel 1957, come sostituto di Marcello Moretti nel ruolo di protagonista ne Il servitore di due padroni. Arlecchino aveva il ruolo principale nella rappresentazione. Diventai negli anni la maschera della Commedia dell’Arte più amata nel mondo.

La sua prima volta all’estero?
Al New York City Center, quando il Piccolo Teatro andò in tournée negli Stati Uniti. Era il 1960. ll regolamento americano stabiliva che il protagonista assoluto dello spettacolo venisse sostituito almeno una volta la settimana. Fui chiamato da Strehler a sostituire un grande attore come Marcello Moretti. Poi l’avventura continuò. 

È entrato anche nel Guinness dei primati come attore interprete di Arlecchino.
È stata una lunghissima convivenza. Nella mia carriera ho realizzato quasi 2.300 recite in Italia e più di 700 repliche in 50 nazioni. Il successo del personaggio lo devo al grande Strehler che ha avuto fiducia in me. Spero di aver contraccambiato con il mio impegno. 

Lei è ambasciatore dell’arte teatrale italiana nel mondo. Perché tanto successo?
Perché è uno spettacolo comprensibile dal grande pubblico. Coinvolge, crea un’atmosfera particolare, dove gli spettatori ridono, si divertono e riflettono, anche se in parte viene recitato in dialetto. Nella Commedia dell’Arte contavano molto il movimento, la gestualità, il tono della voce. Ne uscivano personalità e sentimenti dei vari personaggi.

E Arlecchino?
Arlecchino è un personaggio del popolo. Lo si vede da come si atteggia, si esprime. Non è un buffone. È ingenuo, di una semplicità disarmante, che deve ingegnarsi per campare. Pieno d’ironia, ma anche di umanità e malinconia. Furbo ma mai cinico, servo ma non servile. Arlecchino piace ovunque: in Cina, Giappone, Stati Uniti, Canada, ma anche in Algeria.

Recitare con una maschera. Cosa significa?
La maschera nasconde, crea un’atmosfera di mistero. Dario Fo, mio caro amico, diceva che quando s’indossa la maschera non si può mentire. Con essa si convive e si rinuncia all’identità per dire la verità. La maschera rende liberi.

Lei ha ricevuto diversi premi.
Tantissimi. Non li ho contati tutti, ma sono davvero tanti. Ne ricordo due, in particolare: la nomina a commendatore dell’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, e poi la gradita lettera del presidente Giorgio Napolitano in occasione dei miei 80 anni, e la nomina a Grande Ufficiale.  

Un ricordo particolare della sua carriera?
Un episodio che non dimenticherò mai. Risale al lontano 1967 ed è legato a una replica a Londra. Eravamo stati invitati in un famoso ristorante dalla regina Elisabetta e sua sorella, la principessa Margaret. A un certo punto la regina interruppe il pranzo per venire a salutarci, complimentandosi con noi. Un momento davvero emozionante. E poi negli Stati Uniti dove venivano a vederci tanti attori di Hollywood.

Che consiglio darebbe ai giovani interessati a frequentare una scuola di teatro? 
Serve talento e tanto studio. In questi anni ho tenuto diversi corsi a giovani desiderosi di intraprendere questo mestiere. A tutti ho sempre premesso che quando si recita non bisogna essere se stessi, ma il personaggio che ci viene chiesto di interpretare. È là il segreto.

 

Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»! 

Data di aggiornamento: 22 Aprile 2020
Lascia un commento che verrà pubblicato