31 Marzo 2019

«Follower»

I «social» dettano legge? Vince chi ha più «seguaci»? Noi preferiamo il «modello» Gesù che alla quantità preferiva (e preferisce) la qualità.
vignetta con bilancia dei like

@ Je suis l’Autre

Vorrei tranquillizzare mia mamma, che non è una parolaccia, intanto. Follower è evidentemente una parola inglese che deriva dal verbo to follow, cioè seguire. Per cui questo termine sta a indicare «colui che segue», qualcuno o qualcosa. Insomma, un seguace. E in quanto tale, foss’anche virtuale, ambìto, ricercato, quantificato, perché spendibile nel mondo dei social e, ormai, indispensabile per l’autostima di influencer, youtuber, giovanotti, politici, ma anche qualche adulto in crisi d’identità e di relazioni sociali. Tra un po’, se qualcuno non se l’è già inventato nel frattempo, quanti followers abbiamo in Facebook o su Twitter sarà una delle informazioni obbligatorie sul nostro biglietto da visita.

In realtà, la conta ansiosa dei propri «seguaci» non l’abbiamo inventata noi. Alessandro Manzoni, all’inizio dei suoi Promessi Sposi, quantifica a ben venticinque i suoi lettori. Ma, forse, la sua era un po’ umiltà e un po’ mestiere letterario.

Mi ricordo vagamente, invece, di un’intervista a Umberto Eco, che lessi quando uscì, nel 1980, il suo romanzo più famoso: Il nome della rosa. Il noto semiologo, morto tre anni fa, affermava sconsolato di essere alquanto stupito e preoccupato del successo che arrideva al suo romanzo. Perché, secondo lui, in Italia non c’erano, in realtà, più di dieci lettori in grado di capirlo. Ma, e in questo caso senza forse, si trattava di ironia e provocazione, da par suo.

Così, da sempre, ci contiamo: da quante persone vengono a Messa a quanti fans hanno partecipato al concerto, da quanti scioperanti c’erano in piazza a quanti manifestanti per le strade. Anche se poi, in genere, le cifre divergono tra organizzatori e questura. Ma ci contavamo anche nelle bande da ragazzini, nei gruppi di amici, alle feste.

La matematica, o meglio la ragioneria, e nella ragioneria la partita doppia (accidenti, l’ha inventata un francescano, Luca Pacioli, nel XV secolo!), che sia davvero la chiave di lettura delle nostre vite: entrate e uscite, dare e avere, quanti amici ho, e di quanti sono amico?! Tutto si risolve dietro a una somma, che ha sostituito la dignità dei nostri ideali e valori, responsabilità e impegni?

Ci fu anche qualcun altro che se ne andava in giro a fare adepti e seguaci sorprendendo chiunque, uomini e donne di ogni risma, anche chi non sarebbe stato sulla carta granché affidabile o poco fidelizzabile, con un perentorio e implacabile: «Seguimi!». Che schioccava come una frustata o come un fulmine a ciel sereno, perché inaspettato e, a dirla tutta, nemmeno richiesto. Non ebbe un gran successo. Del resto, il suo profilo non prometteva niente di buono, e ancor meno di facilmente luccicante. Che è come dire che non si sapeva vendere bene, non era in grado di cavalcare l’onda, né di parlare alla pancia delle persone. Un autentico fallimento mediatico. Ci metteva coraggiosamente e coerentemente anche del suo, senza fare sconti davanti a nessuno: «Volete andarvene anche voi?». O quell’altra volta in cui alzò a tal punto il tiro da far tristemente desistere un giovane ricco. Non si può proprio dire che si coccolasse i suoi followers o ne fosse geloso! All’appuntamento con la storia – lo avrebbero messo in croce ma il terzo giorno sarebbe risorto – non ne aveva che una manciata: qualcuno tentò di cambiare nickname o di abbandonare il gruppo all’ultimo momento, altri si resero irraggiungibili.

Mi piace la coerenza, un po’ demodé, di Gesù, che non si preoccupa del numero dei suoi seguaci, quanto della loro disponibilità a seguirlo fidandosi di lui. Facendo come faceva lui. Donando la propria vita come lui la stava donando. Anche di fronte alla tomba vuota: o ci stiamo o non ci stiamo. Semmai, cambiamo gruppo.

Data di aggiornamento: 31 Marzo 2019

1 comments

12 Aprile 2019
sono felicedi essereabbonato al messaggero di san antonio
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di giulio

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