Fortunato Ortombina: Maria Callas, un mito lungo cent'anni
Nel dicembre scorso si sono aperte le celebrazioni per i cento anni dalla nascita di Maria Callas. Quella della Divina, il cui nome all’anagrafe era Anna Maria Cecilia Sofia Kalogeropoulou (quest’ultimo cambiato in Kalos dal padre, non appena giunto negli Stati Uniti dalla Grecia) è una vita immersa nel mito sin dalla nascita, avvenuta in un giorno non meglio identificato tra il 2 e il 4 dicembre del 1924: nell’atto di nascita figura infatti il 3 dicembre, nel passaporto il 2, mentre la madre sosteneva fosse nata il 4. Quest’ultima data era quella preferita anche dall’artista, per la concomitanza con la memoria liturgica di santa Barbara, una santa «grintosa» nella cui indole lei si riconosceva pienamente.
Fatto sta che a cent’anni dalla nascita e a quasi 50 dalla morte (avvenuta nel 1977, a soli 54 anni), Maria Callas è ancora la soprano più amata dal pubblico e la più irraggiungibile quanto a doti vocali e a capacità di utilizzo della voce (che all’inizio non venne però accolta bene dal pubblico, perché ritenuta troppo «aspra»), che le permetteva di spaziare in brevissimo tempo dai ruoli di soprano drammatico a quelli di soprano leggero (non a caso, appositamente per lei venne coniata l'espressione «soprano drammatico d'agilità»), con coloriture inconfondibili.
Lo dimostrano i suoi dischi, ancora tra i più richiesti e la pletora di pellicole e documentari che negli anni le sono stati dedicati. Eppure, idolatrata in vita e dopo la morte, quella di Maria Callas non fu certo una vita facile, complice anche il suo carattere non propriamente amabile. In occasione dei 30 anni dalla morte, così infatti scrisse di lei Enrico Stinchelli su «OperaClick», quotidiano di riferimento per i melomani: «La Callas non aveva fatto nulla per rendersi simpatica, anzi. In un facile, immediato parallelo con un altro divo, recentemente scomparso, Pavarotti, verifichiamo la secca antipatia dell’una contro la schietta bonarietà (apparente) dell’altro: tanto ridanciano e pantagruelico il Pavarotti International, tanto chiusa e arcigna la Medea del Belcanto; tanto aperto e disponibile alla canzonetta, persino rock, il tenorissimo, tanto limitata e ossessiva nel suo repertorio la Duse della Lirica, disposta a morire pur di cantare ancora un’esausta Norma o una stridente Tosca».
Per carpire il segreto di questa personalità così complessa, abbiamo intervistato il maestro Fortunato Ortombina, Sovrintendente e Direttore artistico del Gran Teatro La Fenice di Venezia, dal cui palco la fama della Divina si diffuse nel mondo.