Grazie per i frutti della terra
Ricordo da bambino la fatica enorme che fece mio padre, quando un giorno decise di sradicare una pianta di gelso, ormai secca, posta giusto in mezzo al campo. Si preparò con un paio di buoi, catene e funi, perché quel gelso lo conosceva bene. Una pianta amica, che alimentava i bachi da seta, una pianta forte, caparbia, arroccata, di cui anche Gesù conosceva le caratteristiche, essendo cresciuto sulle colline della Galilea. Non a caso è al gelso che Gesù guarda, quando ci rimprovera per la nostra poca fede. «Basterebbe – diceva – un granellino di senape, per sradicare un gelso e farlo volare fino al mare», un granellino di fede per smuovere il più radicato degli alberi.
Ci sono vizi difficili da estirpare: la gelosia, l’invidia. Ma anche i rancori, che attraversano le generazioni. Non ho più dimenticato quella scena agreste con mio padre che sradica il gelso. Me ne rammento quando confesso, davanti alle difficoltà della nostra gente a cambiare vita. Me ne ricordo anche quando sento che è necessario sradicare dal mio cuore di vescovo certi pregiudizi. Talvolta, infatti, mentre ricevo in udienza le persone, istintivamente, mi assale il giudizio, quasi sapessi già con chi ho a che fare. Ma poi, parlando insieme, l’orizzonte si dischiude. Il gelso dei pregiudizi è sradicato. A sorpresa, il cuore è diverso, fresco, verginale.
Il mese di novembre porta con sé la sorpresa di un grazie sempre più rimotivato davanti ai frutti della terra, abbondanti e coloratissimi. Il giorno 10 si celebra la 69° Giornata nazionale del ringraziamento, con un tema importante: «Dalla terra e dal lavoro: pane per la vita!». Perché il pane dice tutto. È una festa poterlo spezzare insieme, certi però che anch’esso contiene un monito preciso, legato alla durezza del nostro cuore. Scrive, infatti, papa Francesco, commentando il Padre nostro: «Il pane che chiediamo al Signore nella preghiera è quello stesso che un giorno ci accuserà. Ci rimprovera la poca abitudine a spezzarlo con chi è vicino, la poca abitudine a condividerlo. Era un pane regalato per l’umanità; e invece è stato mangiato solo da qualcuno. L’amore non può sopportare questo. Il nostro amore non può sopportare e neppure l’amore di Dio può sopportare questo egoismo di non condividere il pane!». Ecco, allora, proprio questo egoismo va strappato dal cuore nostro. E dal cuore dell’umanità. Anche davanti alla lezione che ci viene dall’Amazzonia. Ne abbiamo parlato nel numero precedente. Siamo grati che sia piaciuto. Perché l’Amazzonia è «nostra». Non è di uno Stato. Il Sinodo sta liberando finalmente il campo dalle ideologie e dalla pretesa del dominio.
Allora la festa del ringraziamento ci educa all’apertura a tutti. Perché realmente il pane sia di tutti e per tutti. Con tre passaggi importanti, che impariamo in questa santa liturgia, mentre elevo la patena e stringo in mano il cesto di frutta.
Prima di tutto, già il ringraziare è segno eloquente. Un cuore che dice «grazie» sa benedire, parla bene, apre gli orizzonti, schiude finestre sigillate. Crea relazioni pulite.
Poi, accogliere, poiché tutto è dono. Tutto è grazia. Tutto è interconnesso, come insegna l’enciclica Laudato si’, con vigore di immagini e di riflessioni. Nasce lo stupore. Ogni persona si fa nuova. Cedono i pregiudizi, proprio mentre imparo a ringraziare. La casa si riempie del profumo del pane. Per tutti.
Infine, anche saper incassare, cioè tenere dentro il dolore, quando chi hai beneficiato ti delude. Invece di fermarti al negativo, contempla la freschezza dei frutti della terra. Imparerai che anche un cuore ferito sa avanzare, rilancia le reti, non perde il sorriso, non si radica nel male, come un gelso che non riesci a strappare. Ecco perché il pane sa sempre di casa! È quotidiano, nuovo, fresco.
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