I morti vivono con noi
Novembre è il mese dei morti. E la morte è venuta a visitarci con grande assiduità negli ultimi due anni. Anche la morte che fa più paura e più male, quella delle persone amate, magari anche quella di chi ci ha generati.
È un evento sempre prematuro benché, lo sappiamo, inevitabile. Un evento che cambia per sempre il tempo, che divide con dura nettezza un prima e un dopo. Nella solitudine è quasi impossibile attraversare questo vuoto senza venire svuotati.
Condividere è consolazione: ricordare insieme ad altri ciò che resta, ciò che può e deve dare ancora frutto attraverso di noi che siamo eredi e custodiamo la memoria. «Muore solo chi non riesce a mettere radici in altri» scrive Lev Tolstoj.
«Le persone care torneranno, è evidente, nelle case dove sono state più o meno felici», sottolinea Dino Buzzati in uno dei suoi racconti, e aggiunge: «Teniamo vive le loro stanze». Non per ripiegarci in una nostalgia sterile, per morire coi nostri morti: al contrario, per farli vivere con noi, serbando i ricordi come un dono prezioso.
Perché, come diceva sant’Agostino, «Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo». La vita e la morte non sono due forze uguali e opposte, ma due facce di una sola realtà. E la parola ultima sarà della vita. Lo dice bene questa poesia di padre David Maria Turoldo:
Non è tutto un vivere e insieme/ un morire?/ Non so come, non so dove, ma tutto/ perdurerà: di vita in vita/ e ancora da morte a vita/ come onde sulle balze/ di un fiume senza fine.
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