Romolo Bugaro, scrittore padovano classe 1962, fa parte di quella generazione di autori che non temono di scandagliare la sfera dei sentimenti umani (basti ricordare il libro I nuovi sentimenti, scritto da Bugaro con Marco Franzoso, Gianfranco Bettin e altri autori nel 2006, edito da Marsilio) in una modalità da sempre considerata, erroneamente, «femminile». E non manca di farlo nemmeno in questo delicato romanzo, ironico e malinconico al contempo, in cui, pagina dopo pagina, accompagna i lettori nel contraddittorio universo interiore dei sessantenni di oggi.
«I ragazzi di sessant’anni» di cui parla il titolo sono in realtà il protagonista del volume, declinato così, al plurale, perché archetipo dei nati negli anni ’60 del secolo scorso. Uomini professionalmente «arrivati», economicamente sereni, benché non ricchi, che si aggrappano con le unghie e coi denti alla perduta giovinezza. Indossano abiti «senza età» (anche se onestamente starebbero meglio su un ventenne), si mantengono attivi con un’adeguata attività fisica (facendosi magari la palestrina in garage), cercano di mangiare sano (ma non disdegnano un po’ di alcol e parche quantità di tabacco). Si sentono abbastanza bene nei loro anni, benché avvertano un senso non meglio identificato di precarietà, come se da un momento all’altro tutto ciò che hanno costruito potesse crollare.
Il fatto è che, come scrive Bugaro, la morte è ormai entrata nella loro «stanza» e, benché se ne stia in un angolino buio, cosicché loro possano fare finta di non vederla, ne avvertono la presenza quasi incombente. Ma per quanto potranno ancora fare finta di nulla? Per quanto potranno cullarsi nell’illusione di vivere nell’età interiore che sentono di avere e che è di almeno vent’anni inferiore alla reale? In fondo sono già parecchi i loro coetanei alle prese con malattie acute o croniche o con improvvisi fallimenti. Per questo a tratti vorrebbero fuggire, magari «ritirandosi nel bosco», ma non possono farlo a causa delle incombenze familiari, e poi nel bosco, in solitudine, sarebbero costretti a guardare in faccia ciò che più temono. Meglio allora continuare a vivere con finta indifferenza, osservando sempre più disincantati un mondo che non riconoscono più, avvolti come sono da nostalgia e paura del domani. Un domani che per «i ragazzi di sessant’anni» si rivela bruscamente un mattino e del quale ciascun lettore può immaginare l’epilogo che preferisce. Bugaro ci regala un libro davvero bello, dove temi esistenziali «pesanti» sono affrontati con lievità, anche di stile. Che forse è l’unico modo per non cadere nella retorica.
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