Se la fede imprigiona
Come un vento che si insinua piano piano e poi con la forza di un tornado devasta ogni cosa. Come un tumore che cresce silente all’interno di una persona. Come una trappola o un labirinto in cui è facile entrare ma da cui è difficile uscire. L’abuso spirituale si può assimilare a tutto ciò, come spiega molto chiaramente don Giorgio Ronzoni (parroco di Santa Sofia in Padova e docente di Teologia pastorale alla Facoltà teologica del Triveneto) nel suo interessante studio, uscito qualche tempo fa in coedizione Emp-Facoltà teologica del Triveneto, dal titolo L’abuso spirituale. Riconoscerlo per prevenirlo. Un approfondimento coraggioso, che può essere molto utile per una corretta presa di coscienza di un fenomeno del quale, nella Chiesa italiana, forse si parla ancora troppo poco. Siamo dinanzi a una forma d’abuso sottile e che, a differenza di altre forme, può essere compiuta anche in buona fede, nel senso che chi la esercita può non esserne consapevole. A compierla possono essere sacerdoti ? sia in confessione che nell’accompagnamento spirituale ? ma anche iniziatori o responsabili di comunità, sia religiose che laiche, in particolar modo delle nuove comunità o movimenti, i quali non hanno quella tradizione lunga e sapiente che, in genere, protegge da derive di questo tipo. «La conoscenza del fenomeno – scrive infatti don Ronzoni nel suo libro – non è sufficiente per impedire l’abuso spirituale, ma senza una conoscenza almeno sommaria di questo triste fenomeno, esso potrà continuare a diffondersi soprattutto nelle comunità religiose di nuova creazione, meno ancorate nella tradizione e più suscettibili di dipendere unicamente dalle intuizioni, non sempre illuminate, dei loro fondatori e capi». Cerchiamo, allora, di capirne di più, aiutati proprio da don Giorgio Ronzoni.
Msa. Don Ronzoni, che cosa si intende per abuso spirituale? Ronzoni. L’abuso spirituale è un abuso di potere che si protrae a lungo nel tempo in ambito spirituale, cioè nella vita di fede di una persona. Si verifica quando qualcuno prende il posto di Dio, o più frequentemente quando afferma di essere (l’unico) interprete della volontà divina, almeno per un determinato gruppo di persone.
È una situazione che si verifica solo nell’ambito della vita religiosa o riguarda anche i laici, sia nel ruolo di vittima che di abusatore?
Può verificarsi dentro o fuori la Chiesa, ad esempio nelle sette, dentro o fuori gli istituti di vita consacrata, ad esempio nei movimenti ecclesiali: dovunque ci sia un leader religioso che abusa del proprio potere.
Com’è nato questo concetto? È una questione recente nella Chiesa o è sempre esistito?
Il concetto è stato formulato nel 1991 da due pastori protestanti psicoterapeuti, David Johnson e Jeff Van Vonderen; un po’ alla volta si è diffuso in tutto il mondo e in molte confessioni religiose, segno che il fenomeno è presente ovunque, anche se non ci sono statistiche a riguardo. In Italia se ne parla pochissimo: i primi articoli in internet sono del 2018. Probabilmente è sempre esistito, ma le cosiddette «nuove comunità» sono più esposte a questo rischio, perché i fondatori e le fondatrici godono di un grandissimo prestigio che mette nelle loro mani un potere che non tutti sanno gestire bene.
Che cosa avviene concretamente nell’abuso spirituale e come lo si può riconoscere dall’esterno?
È facile riconoscere una persona abusata, perché soffre, ha paura, manifesta poca stima di sé. Concretamente, crede ciecamente e obbedisce a un’autorità religiosa che la maltratta ed esige da lei sacrifici sempre più grandi in nome della fede.
Quali conseguenze ci sono per la vittima?
Le conseguenze possono essere molto pesanti, fino al suicidio; anche quando non si arriva a questo estremo, la persona vittima di abuso spirituale vive nella tristezza, nella paura, convinta di «non fare abbastanza», ma che questo faccia parte del suo cammino verso la pienezza, la santità.
Ci sono delle caratteristiche psicologiche particolari che possono facilitare il fatto che una persona sia vittima di abuso spirituale? E per gli abusatori?
È pericoloso pensare che ci siano caratteristiche specifiche delle vittime, sia perché questo potrebbe portare a colpevolizzarle, sia perché potrebbe farci credere di essere al sicuro se il nostro profilo non coincide con quello ideale della vittima: in realtà tutti abbiamo dei punti deboli che gli abusatori sono in grado di manipolare.
Il clericalismo può favorire il perpetrarsi di abusi spirituali?
Ovviamente sì, anche se rispetto al passato oggi non si dà più molto credito a un sacerdote solo perché è sacerdote: anche nella Chiesa cattolica si stanno affermando sempre più delle leadership legate al carisma personale anziché all’istituzione. È un nuovo clericalismo, altrettanto pericoloso di quello vecchio.
Nel suo libro lei afferma che le comunità religiose femminili sono le più a rischio di abuso spirituale: perché?
Per molti motivi, probabilmente, ma soprattutto di tipo culturale: non siamo ancora usciti del tutto da una mentalità secondo la quale le donne devono saper tacere, obbedire e soffrire. La religiosa ideale era, e a volte è ancora, immaginata come un angelo senza bisogni personali, senza ambizioni e senza un suo pensiero.
Quanto conta l’aspetto formativo nel verificarsi degli abusi? In altri termini: si può dire che alla radice dell’abuso spirituale ci sia una formazione religiosa superficiale o inadeguata?
Inadeguata, senza dubbio, ma non sempre superficiale, anzi: molto spesso l’abuso spirituale mette radici in una spiritualità molto (troppo) esigente, in una formazione che cerca di realizzare rapidamente e a tutti i costi la radicalità evangelica. Tuttavia, si tratta quasi sempre di una formazione unilaterale, che seleziona le fonti di informazione e preclude l’accesso a una vera cultura teologica ampia e pluralista. La parola del «guru» è sufficiente: non occorre ascoltare altre voci, anzi: è pericoloso.
Nel suo volume lei scrive che il rischio di abuso di potere aumenta quando si resta troppo a lungo in ruoli di autorità. Vale anche per l’abuso spirituale?
Certamente. Di recente, papa Francesco ha chiesto ai movimenti di limitare la permanenza nelle cariche direttive a cinque anni, rinnovabili al massimo una volta sola.
Che differenza c’è tra abuso di coscienza e abuso spirituale? Spesso vengono utilizzati come sinonimi...
Infatti io li uso come sinonimi. Invece altri autori vedono nell’abuso di coscienza un aspetto più specificamente etico, morale, indirizzato all’agire, mentre in quello spirituale un aspetto più legato alla fede. Secondo me, sono così strettamente collegati da essere praticamente indistinguibili.
Ma perché una persona non riesce a sottrarsi all’abuso?
Perché l’abusatore le fa credere che al di fuori di quella relazione tossica e di quella comunità di cui fa parte non ci sia salvezza. Non si comincia subito con l’abuso, ma questo interviene dopo che i legami affettivi si sono sviluppati a tal punto che la persona abusata ritiene di non poter vivere o di non potersi salvare senza l’abusatore. Inoltre, le persone abusate sono restie a credere di aver sbagliato leader o comunità e pensano che andandosene perderanno tutto il tempo e le risorse investite fino a quel momento: preferiscono sperare che le cose miglioreranno in futuro.
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