I soldi in tasca
Statutum vetus conditum millesimo ducentesimo trigesimo primo, die quintodecimo exeunte marcio, in potestaria domini Stephani Badoarii. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen. Ad postulationem venerabilis fratris et beati Antonii confessoris de ordine Fratrum Minorum. Statutum et ordinatum fuit…: «Statuto vecchio, approvato nel 1231, il quindicesimo giorno dalla fine di marzo, mentre era podestà Stefano Badoer. In nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. A richiesta del venerabile frate e ora santo Antonio confessore dell’ordine dei Frati Minori, fu stabilito e ordinato…».
Linguaggio curiale proprio di chi amministrava la politica e le carceri, affidato a uno statuto, quanto di più ufficiale potesse esserci nel Medioevo, al tempo di sant’Antonio. Ne è arrivata a noi una copia datata 1276 circa, in una raccolta del comune di Padova, che se non è proprio l’originale ci si avvicina quanto basta per emozionarci: ritrovare il nome del nostro Antonio dove meno ce lo saremmo aspettati! Non scontatamente nelle sue biografie, che pure riportano l’episodio che stiamo andando a narrare, non in un libro di omelie o di preghiere, insomma non nel contesto di materie sacre: ma in uno statuto cittadino, una sorta di decreto legge che stabilisce norme penali e pecuniarie per gli usurati che non erano in grado di ripagare i loro debiti.
Evidentemente ci emoziona per la nostra fatica a tenere assieme impegno spirituale e cittadinanza attiva e partecipativa, doveri religiosi e responsabilità civile. Dubbi che neanche sfioravano Antonio, francescanamente convinto com’era che, per toccare il cielo con un dito, bisognava avere i piedi ben piantati sulla terra. E che ogni realtà è sempre l’altra faccia della medaglia di qualcos’altro. Non siamo esseri disincarnati, e le nostre vie verso il paradiso passano anche da una buona ed evangelica economia.
Le annotazioni cronologiche sono importanti. Siamo prossimi alla primavera dell’anno 1231: sì, proprio quello della morte di Antonio. Più esattamente il 17 marzo, Lunedì santo. Antonio ha speso l’intera Quaresima a predicare, praticamente ogni giorno, e a confessare gli uomini e le donne, in massa, che glielo chiedevano. Tra qualche settimana, stanco e spossato, si ritirerà nel conventino di Camposampiero, da dove, il 13 giugno, farà precipitosamente ritorno a Padova, per morire presso il monastero delle clarisse dell’Arcella. In mezzo a tutto questo turbinio, trova il tempo di occuparsi anche di… economia.
Il Santo a cui tutti hanno qualcosa da chiedere, per una volta è lui a domandare: insiste presso le autorità competenti perché vengano previste leggi più eque anche per i debitori insolventi. Del resto, frate Antonio non rischia conflitti di interessi: il suo voto di povertà lo tiene alla larga da qualsiasi brama di possesso o arricchimento. Ma la sua fede in un Dio che è padre di tutti, e a tutti, nessuno escluso, dona largamente i suoi beni, lo fa appassionatamente attento a ogni uomo e donna: ai bisogni di ognuno, ai loro diritti, oltreché doveri. Soprattutto a tutti coloro che una ricchezza egoisticamente intesa e colpevolmente mal distribuita, allora come ora, riduceva in povertà.
«Se il denaro non può darci la felicità, figuriamoci la miseria», affermava nel suo caustico umorismo Woody Allen. Così l’economia ha da essere al servizio dell’uomo, del suo «star bene» e ciò non a scapito di qualcun altro: la fraternità francescana non prevede esclusi né esodati né effetti collaterali. Eventualmente sobrietà, semplicità, solidarietà, condivisione e giustizia, perché tutti siamo messi nella possibilità di partecipare alla grande festa della vita!
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