L'economia di Francesco
Dopo che l’Europa e l’Occidente hanno passato tutto il XX secolo (e parte del XIX) a discutere sulla natura morale o immorale del capitalismo, trascinando dentro il vortice delle polemiche moltitudini di uomini e donne, il loro sangue, la loro vita, l’alba del III millennio sta ponendo nuove sfide dove non c’è più nulla da discutere. Oggi abbiamo, infatti, una nuova certezza: per quanto riguarda la salvaguardia o la custodia della Terra, dei beni comuni e dei beni relazionali il capitalismo non funziona. La sua razionalità basata sulla ricerca del benessere individuale non sa curare il pianeta, i beni che usiamo insieme e i rapporti umani. Se qui non cambiamo presto e velocemente saremo solo capaci di continuare a distruggerli. Su questo non c’è più dibattito che tenga.
Il Movimento di Greta e gli altri movimenti giovanili che in questi ultimi tempi stanno animando (dando letteralmente «anima») il mondo, dicono, in vari modi, questo stesso messaggio. Importante, poi, che siano soprattutto i giovani e le ragazze e i ragazzi a gridare questo messaggio, svolgendo una funzione supplente in un mondo di adulti e di vecchi troppo distratto dal benessere e drogato dal consumismo per accorgersene e cambiare.
Tutto questo il Papa l’ha capito da tempo (prova ne è la sua Laudato si’), e oggi lo ribadisce, convocando ad Assisi 2 mila «giovani» economisti e imprenditori per un evento globale dal 19 al 21 novembre 2020.
Siamo dentro un nuovo Sessantotto globale, ma questa volta la Chiesa non è il vecchio da combattere bensì è parte integrante del nuovo che avanza velocemente. Un evento di giovani economisti, imprenditori e operatori di cambiamento. Sono queste le grandi innovazioni di The Economy of Francesco. Mentre il mondo del business continua a radunare a Davos e ovunque adulti e anziani per gestire le sorti dell’economia mondiale, il Papa si mette nelle mani dei giovani, del loro cuore e della loro intelligenza. È la prima volta che un leader mondiale o una istituzione globale convoca giovani economisti per chiamarli a un impegno comune e corale. Un Papa che convoca giovani attori economici: è questa un’altra innovazione di Assisi 2020.
La Chiesa cattolica ha da sempre attribuito grande attenzione alla politica o alla famiglia. Meno all’economia in quanto scienza economica e in quanto impresa. Anche perché la Chiesa cattolica ha in gran parte subito il capitalismo moderno, nato soprattutto da un’etica protestante e da uno spirito individualista. La Chiesa cattolica è stata sempre critica e scettica nei confronti dei mercanti e dei banchieri. Dante colloca gli usurai nell’Inferno (Canto 17), e riserva loro un trattamento duro almeno quanto quello riservato agli avari (Canto 7). La ricchezza è sterco del demonio ed è mammona, e il cammello non passa, in genere, per la cruna.
L’umanesimo cattolico è anche stato una reazione al capitalismo del Nord, alla sua finanza, alla sua cultura d’impresa. Per questo il mondo cattolico ha sempre abbondato di scuole di politica, di dottrina sociale, di attenzione al mondo del lavoro e del sindacato, ma molto poche sono le encicliche e i documenti rivolti direttamente agli imprenditori e ai banchieri, e anche per questa ragione nella Costituzione repubblicana non si menziona mai né la parola impresa né la parola imprenditore.
Economia al centro
Questo Papa innova anche ponendo la teoria e la prassi economica al centro della sua attenzione di Pastore. Perché per Francesco non si cambia il mondo senza cambiare la prassi e soprattutto la teoria economica. Ma questa attenzione per i giovani e per l’economia avrà inoltre come patria Asssi, una città che è in sé un messaggio. The Economy of Francesco è l’economia di papa Francesco e di san Francesco, assieme. I francescani hanno avuto un certo ruolo nella nascita dell’economia di mercato, anche se è un ruolo diverso da come ci viene raccontato, quando si collocano un po’ troppo superficialmente i francescani all’origine della teoria economica moderna o addirittura del capitalismo. Hanno certamente fondato i Monti di Pietà, ma non dobbiamo dimenticare che nascono per criticare le banche che già esistevano in Italia ma non erano per i poveri. I Monti nascono sine merito, senza interesse, come sfida all’economia for-profit delle città.
Francesco iniziò la sua rivoluzione scegliendo come sua forma di vita «soltanto» il Vangelo. Quella di Francesco era una povertà individuale e comunitaria, perché neanche i conventi dovevano possedere alcun bene. Nulla possedere, vivere sine proprio. Da subito si sviluppò un acceso dibattito, anche giuridico, sulla distinzione tra «proprietà» dei beni e loro «uso». I teologi e i giuristi francescani cercarono di convincere i Papi e la Chiesa che fosse possibile consumare i beni primari senza diventarne padroni.
Francesco i suoi frati e le sue suore tentarono qualcosa di impensato che ci lascia ancora oggi senza fiato: tornarono lungo le strade, da ricchi divennero mendicanti poveri in mezzo ai poveri. Francesco passò per la cruna non perché (come fece la Chiesa istituzionale dopo Costantino), allargò la cruna per farci passare anche i ricchi, ma perché ridusse il «cammello», fino a renderlo sottilissimo, il nulla-tutto dell’agape. «Oh ignota ricchezza! Oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace» (Paradiso, XI,84).
La diversa ricchezza francescana divenne il nulla possedere per poter entrare in un altro regno. Ma, lo sappiamo, il tentativo francescano di distinguere la proprietà dei beni dal loro uso non ebbe successo. La Chiesa di Roma (papa Giovanni XXII), contestando le tesi dei teologi francescani (san Bonaventura) affermò con una Bolla l’impossibilità del solo «uso» dei beni, rettificò il suo predecessore Nicolò III e attribuì all’ordine la «proprietà» dei beni che usavano. L’utopia dei francescani non entrò né nel diritto della Chiesa romana né nell’eredità economico-giuridica dell’Occidente. Ma non è morta, perché continua a sfidare le nostre economie e i nostri sistemi giuridici.
I primi francescani, sulla base della profezia di Gioacchino da Fiore, credevano che l’ultimo tempo, il settimo, sarebbe stato quello dell’altissima povertà di Francesco, che per loro era il profeta del tempo ultimo. Con il terzo millennio siamo entrati definitivamente nell’era dei beni comuni. Se continuiamo a sentirci proprietari e padroni della Terra, dell’atmosfera, degli oceani, continueremo soltanto a distruggerli. Dobbiamo, presto, imparare a utilizzare i beni senza esserne padroni, dobbiamo velocemente apprendere l’arte dell’uso senza proprietà. E se fosse l’altissima povertà di Francesco l’unica oikonomia dell’era dei beni comuni?
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