Il cristianesimo non esiste ancora
Un libro certamente non per tutti, scritto da un filosofo e teologo domenicano francese, che è un’accoppiata di caratteristiche che non promette niente di scontato. Ma lo sforzo di lettura vale, almeno come provocazione per il nostro pensiero e le nostre supposte sicurezze religiose. Perché, cristiani si diventa o si è? Ma in realtà «non eravamo» ormai? Lo diceva già Tertulliano nel II secolo: «Cristiani non si nasce ma si diventa», lo scriveva Søren Kierkegaard nella prima metà del XIX secolo, autore molto citato in questo libro. È più tragicamente evidente se diciamo che «non ci sono cristiani»? (è ancora il Kierkegaard di prima a scriverlo). O, meglio, non ci sono «ancora»? Di più: non ci saranno «mai» del tutto, perché il Regno di Dio ovvero il Vangelo di Gesù Cristo sarà sempre più avanti, «a-venire», come dice l’autore?
La differenza starebbe tutta tra cristianesimo di appartenenza e cristianesimo di esperienza. Dove Cristo, cioè, non è tanto il fondatore della pur migliore delle congreghe religiose o un insieme di «verità di fede» a cui adeguarsi, ma colui che ci precede sul cammino di una vita nuova. L’evento Cristo non è prima di tutto l’oggetto di una credenza, ma un atto di fede che ha senso solo per colui che vive di esso. Credenza che, sempre e tanto più in questi tempi difficili, non si oppone al Vangelo, mancherebbe altro; ma lo vorrebbe un tantino più in sintonia col suo desiderio. Vorrebbe un reale e una realtà più adeguati alle nostre attese, mentre la fede ci fa vivere piuttosto in essi, ma in modo diverso: la fede, scrive l’autore, indica dei possibili, e non informa sui fatti. Non risponde, cioè, alla nostra curiosità di sapere, ma ci chiede una «scelta di vita»: come stare in quello che di volta in volta ci capita? Come starci, in quanto cercatori del Regno dei cieli?