Il luogo più amato
Arriva da sola, sguardo basso, volto tirato. Un semplice segno della croce all’ingresso e poi via, verso quel cuore pulsante della Basilica che per i tanti devoti è sempre e comunque la tomba del Santo. La donna, avrà una sessantina d’anni, è di casa qui. Lo si intuisce dal passo deciso di chi conosce bene la strada. «Vengo da sant’Antonio abbastanza spesso – confida infatti –: ogni volta che una preoccupazione mi appesantisce il cuore o quando qualche amico o conoscente mi chiede di venire a pregare per lui, visto che io abito non troppo lontano dalla Basilica. I motivi sono sempre diversi: la preoccupazione per la salute, oppure per un figlio, o per una situazione familiare difficile o per il lavoro. Mi è capitato anche che qualcuno mi domandasse di venire a chiedere l’intercessione del Santo senza spiegarmene le ragioni, dicendomi solo: “Il Santo sa già tutto”».
Dopo di lei, ecco un giovane uomo sulla trentina. Arriva defilato, anche lui di fretta. Il volto è sorridente, lo sguardo curioso. «Non ho molto tempo: sono venuto qui in pausa pranzo – racconta –. Ho da poco trovato un lavoro non troppo distante dalla Basilica, e sono venuto a dire il mio grazie ad Antonio: secondo me, lui ci ha messo lo zampino in questa assunzione. Lo dice anche mia mamma, che l’ha pregato senza sosta per mesi per questo motivo».
E poi arrivano i gruppi e gli anziani e le famiglie: giungono da ogni parte d’Italia e qualcuno pure dall’estero, benché, a causa del covid, gli stranieri siano ancora pochi. Poi ci sono le persone ammalate, in cura nel vicinissimo nosocomio patavino, che vengono per chiedere un sostegno nel difficile momento di prova. Tutti entrano timorosi, anche quanti sono qui con un pellegrinaggio che si mescola a una qualche forma di turismo. Sono emozionati, sanno di avvicinarsi ad Antonio, il Santo che il mondo ama, che loro amano.
Ciascuno si approssima alla tomba di Antonio in silenzio e raccoglimento. Si mette ordinatamente in fila e aspetta il suo turno di poter posare la mano (oggi precedentemente disinfettata!) sulla lastra di marmo verde che riveste l’Arca del Santo, quella che custodisce le sue spoglie mortali. In quel momento gli occhi si chiudono e la preghiera comincia a scorrere incessante dal cuore come un torrente di montagna sgorga improvviso tra le rocce.
È questo il momento più intimo, più profondo. Il dialogo con il Santo è autentico: chiunque venga in Basilica e ripeta il gesto tanto caro al pellegrino si sente accolto e ascoltato. Rincuorato da una presenza che avverte vicina, perché come lui ha attraversato le vicende di una vita in cui non sono mancati fallimenti, prove, malattie, timori e, per fortuna, anche gioie, sogni e speranze. Nulla di ciò che è umano fu estraneo a frate Antonio e questo lo rende uno di noi.
Pillole di storia e di arte
La cappella dell’Arca si trova sul lato sinistro della Basilica. Fa parte della zona più antica dell’intero complesso basilicale: qui, infatti, sorgeva la chiesetta di Santa Maria Mater Domini (le cui tracce sono chiaramente visibili nella limitrofa cappella della Madonna Mora) accanto alla quale c'era il convento in cui frate Antonio viveva. E dove sperava di ritornare quando, morente, chiese di essere riportato a Padova da Camposampiero, per andarsene tra i volti amati dei suoi confratelli. Ma non ci riuscì: morì infatti lungo la strada, all'Arcella.
La facciata della cappella, a doppio attico, è posata su quattro colonne e due pilastri. In alto, all’interno di cinque nicchie, ci sono le statue di alcuni santi, tra cui Antonio stesso. Al centro della cappella spicca l’altare, costruito su una piattaforma posta sopra una scalinata, opera di Tiziano Aspetti (1607). A fargli da corona, tre statue di santi: Antonio, Bonaventura e Ludovico di Tolosa. Ai lati, due candelabri d’argento, con supporto marmoreo, alti più di due metri e opera di Giovanni Balbi (1673 e 1686).
A circondare l’altare, i bellissimi altorilievi di marmo che raffigurano momenti della vita o miracoli attribuiti a sant’Antonio, realizzati da famosi scultori tra cui Tullio e Antonio Lombardo e Jacopo Sansovino. Notevole pure la volta con lunette, decorata tra il 1533 e il 1534 con stucchi dorati da Giovanni Maria Falconetto, al cui centro spicca la scritta: Gaude felix Padua quae thesau(rum) pos-(s)ides, cioè «Gioisci, o felice Padova, che possiedi un tesoro», parole che figurano all’inizio della Bolla con cui, il 30 maggio 1232, papa Gregorio IX elevò Antonio agli onori degli altari, a un anno appena dalla morte.
Accanto all'altare, una sorta di bacheca accoglie foto, lettere, preghiere, ex voto: segni di una devozione viva e che, a distanza di otto secoli, non accenna a spegnersi. Ma è nella parte posteriore dell’altare che si concentra l’attenzione dei devoti: in quella lastra di marmo verde che, come sappiamo, ricopre il feretro del nostro Santo e che si fa involontario tramite verso di lui, per un contatto che deve essere anche «fisico» per essere percepito come reale. O almeno così sentono i milioni di pellegrini che di qui sono passati e passano e che spesso serbano per la vita il ricordo di questa visita, con un senso di profonda gratitudine nel cuore e un sorriso sulle labbra.
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