Il Mediterraneo dentro di noi
Dieci anni fa era un manager di una grande multinazionale americana, oggi è uno scrittore marinaio che ha compiuto un viaggio per il Mediterraneo, lungo 6 anni e 20 mila miglia, quasi la circonferenza massima del mondo. Un taglio netto con la vita di prima, quello di Simone Perotti, per scoprire se si può stare in piedi mettendo al centro le proprie passioni e i propri valori. Una scelta per alcuni coraggiosa, per altri azzardata, che Perotti racconta all’inizio del suo percorso nel fortunato libro, Adesso Basta. Dieci anni e molte miglia dopo, l’ultimo libro, Rapsodia Mediterranea (Mondadori), descrive come quella libertà, conquistata a caro prezzo, sia oggi una spinta generativa per se stesso e per gli altri.
Msa. Da manager era negli ingranaggi del sistema. Quali le contraddizioni, secondo lei più insanabili, che ci fanno perdere noi stessi?
Perotti. La più macroscopica è il ruolo del lavoro. La cultura egemone, quella di questo capitalismo deviato, descrive il lavoro come un fine. Ma il lavoro è uno strumento per imparare, per realizzare le proprie propensioni, e per guadagnare il necessario per vivere dignitosamente. Confondere il mezzo con il fine è alienazione. Poi c’è l’etica del lavoro. Troppe persone sarebbero pronte a passare sul cadavere di qualcuno per il lavoro, o a distruggere l’ambiente o a svolgere una mansione nell’industria bellica. Questo per me è immorale.
Che cosa ha imparato della libertà in questo percorso?
Che per compiere scelte di libertà, occorre essere liberi interiormente e intellettualmente. Se si è soggetti al condizionamento del consumo, dei simboli, dei ruoli sociali e alla religione del potere e del denaro non si può compiere una scelta di vita, grande o piccola che sia, in direzione della libertà. A furia di relegare la cultura nell’angolo delle discipline inutili, siamo diventati dei «tecnocrati della vita».
Il modello corrente lavoro-guadagno-consumo-spreco- inquino, afferma nel suo libro, non è un modello mediterraneo. Qual è il modello che abbiamo perduto?
Se ci guardiamo intorno, come mangiamo, come siamo vestiti, come usiamo il tempo e intendiamo le relazioni, sembriamo i protagonisti di una serie televisiva prodotta negli Stati Uniti. Non siamo noi, scimmiottiamo un modello. Nelle grandi città italiane si vive come a Londra o a New York. Ho girato il Mediterraneo per cercare di capire perché e quando è avvenuto l’infarto evolutivo che ha portato il nostro mare a smettere di elaborare i suoi modelli, per appiattirsi sulla monocultura corrente. Nel modello mediterraneo c’erano modi diversi di gestire relazioni e tempo, c’erano solitudine e contemplazione, ma anche resilienza, bisogno di lavorare usando in maniera bilanciata testa e mani, bisogno di riflettere e sognare, ma anche di agire e costruire. E potrei fare cento altri distinguo. Abbiamo lasciato che questo mondo sparisse, ma il modello che abbiamo adesso ci opprime.
Perché il Mediterraneo si ribella a uno schema unico?
Ho visto con i miei occhi, perlustrandolo miglia per miglia, che il Mediterraneo è il luogo nel mondo dove si è concentrata la maggiore dose di diversità: tanti popoli, tante culture, tante architetture e 400 milioni di persone che vivono affacciate sulle sue coste. La diversità fa parte della nostra storia, non è semplice tolleranza.
Mi descriva il «dio denaro» dal timone della sua barca a vela.
Non farebbe un miglio in modo sensato. Il denaro tende a ritenere tutto acquistabile. In mare invece non ci sono negozi. E per contrastare una burrasca non puoi chiedere un prestito.
L’intervista completa a Simone Perotti è pubblicata sul numero di luglio agosto 2020 del Messaggero di sant’Antonio e sulla versione digitale della rivista. Provala subito!