Il Papa emerito e le coincidenze... pasquali
Quest’anno Pasqua è caduta il 16 aprile. Lo stesso giorno di novant’anni fa, in un piccolo villaggio della Baviera, nasceva Joseph Ratzinger. «Era il sabato santo, ma c’era la neve e faceva tanto freddo – racconta il teologo Elio Guerriero in Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI (Mondadori) –. Però l’occasione era unica: allora la liturgia pasquale con la benedizione dell’acqua e la cerimonia del battesimo veniva celebrata già il mattino del sabato santo. Lasciati a letto i bambini e la mamma, ancora sofferente per il parto, il padre si recò subito in chiesa con il neonato. Il piccolo Joseph venne così battezzato nella nuova acqua lustrale e il suo battesimo, come la sua vita, venivano immersi nell’atmosfera pasquale, in quelle ore nelle quali per i credenti avviene il misterioso passaggio di Gesù dalla morte alla vita. Commenterà papa Benedetto nelle sue memorie: “Personalmente sono sempre stato grato per il fatto che, in questo modo, la mia vita sia stata fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale, dal momento che non poteva che essere un segno di benedizione”».
Proprio tale coincidenza di date ha reso la Pasqua 2017 ancora più favolosa, offrendoci l’occasione di ringraziare Benedetto XVI, un grande uomo di Chiesa, che ha saputo vivere fino in fondo la missione affidatagli: immergersi nella morte per rinascere alla vita, coinvolgendo un intero popolo e mostrando come sia possibile uscire dal buio dei lager, per abbracciare i sentieri della speranza. Da papa Ratzinger, dunque, il popolo tedesco ha imparato a costruire la verità nella carità (si legga la sua enciclica Caritas in veritate, del 29 giugno 2009), cioè a dare alla verità la precedenza, perché nulla resta se non è basato su di essa. La meta è la verità. Luminosa, ardua, altissima. Ma sempre accattivante, proprio come l’incontro col Signore Gesù. In quest’ottica la mente di Joseph Ratzinger si fa cuore di pastore, un «cuore che vede», un cuore che sa unire la generosità della carità e la lungimiranza della verità. Poiché la carità è vera solo se è insieme generosa e intelligente.
Personalmente, ricordo papa Ratzinger nella visita ad limina del 14 gennaio 2013, un mese prima della sua rinuncia. Per una singolare coincidenza, fui il primo vescovo italiano a essere ricevuto. Ebbene, sulla porta della luminosa stanza, Benedetto XVI mi venne incontro e, con fare «da amico», mi chiese: «Ma c’è la neve a Campobasso?». Potete immaginare la mia gioia e il mio stupore. Faccio ancora tesoro di quel suo stile ogni volta che viene a trovarmi un povero: cerco anch’io di metterlo subito a suo agio, con una domanda appropriata e una battuta affettuosa.
Non posso scordare anche quell’11 febbraio 2013, quando papa Benedetto espresse la sua rinuncia. Inattesa proprio come quella fatta da Celestino V il 13 dicembre 1294. Dopo lunga e sofferta riflessione, quel Papa di origini molisane ebbe il coraggio di ascoltare il proprio cuore che gli chiedeva di far spazio a un’altra figura di Pontefice. Non per paura né per incompetenza, come si disse per secoli. Tanto meno per viltà, come potrebbe apparire da un’espressione, non chiara, dello stesso Dante (Divina Commedia, Inferno). Anzi, per virtute papa Celestino giunse a quel gesto di immensa umiltà: scendere gli alti gradini del trono e spogliarsi degli abiti pontificali, per restare tra la sua gente, con la sola cocolla monastica, umile e povero, come era sempre stato. Entrambi i Papi (il tedesco e il molisano), dunque, ci insegnano che, come scrive anche Francesco nell’Amoris Laetitia (n. 98), «l’atteggiamento dell’umiltà appare come qualcosa che è parte dell’amore, perché per poter comprendere, scusare e servire gli altri di cuore, è indispensabile guarire l’orgoglio e coltivare l’umiltà».