Quaresima, sia detto con rispetto, perché?
«Gentile direttore, sarà che quest’anno il calendario impone un carnevale particolarmente lungo, sarà che ormai in generale mi stanno stretti i “tempi fissi” dell’anno, perché li sento “costringenti” e un po’ manipolatori, se non consumistici, ma... temo la quaresima. Non riesco a viverla bene. Dovrebbe essere un periodo forte però, con tutto il rispetto, perché adesso sì e non, che ne so, in luglio? Me l’hanno sempre trasmessa come un tempo di rinuncia, ma da che cosa poi? In vista di che cosa? Forse sono un po’ impertinente, mi scuso per il disturbo».
Lettera firmata
Nessuna impertinenza, caro amico: meglio esternare certi dubbi o stanchezze, piuttosto che seppellirli sotto strati di «non pensiamoci su» o di «tiriamo avanti» sbuffanti. Credo, anzi, che proprio decidendo di scrivere lei abbia già iniziato la sua quaresima! Che è fare i conti con ciò che non va, non per il gusto di lamentarsene, ma in vista del meglio. È un cambio in corsa, una conversione possibile (nel senso di «nelle tue possibilità»), a disposizione, a portata di mano. Da non rigettare a cuor leggero.
Perché non in luglio? Mettiamola così: non so lei, ma io, non fidandomi della memoria, per ricordare alcuni appuntamenti me li segno. Attacco un post-it dove so che andrò a guardare, quando esco porto con me l’agenda, ho bigliettini dappertutto. La quaresima è un «grande post-it» che dura 40 giorni, un segnale stradale, se preferisce l’immagine, che indica la necessità, per crescere, di cambiare.
Non è assolutamente indifferente, poi, il periodo. La quaresima – e vale per tutti i tempi forti del calendario liturgico – non è per l’individuo, per il solitario. Acquista invece tutto il suo valore proprio perché la viviamo come Chiesa, come popolo di Dio in cammino. «Un» cristiano non esiste. La stessa parola «cristiano» dice relazione, dice che siamo almeno in due, io e Cristo. Ma io, addirittura, il singolare proprio lo abolirei: esistono «i» cristiani, uniti nella comunione dei santi, con i fratelli di ieri e di oggi. Così è anche per la quaresima, un tempo per noi, popolo, meno intimistico di come lo abbiamo a volte vissuto e trasmesso.
Mi fa sorridere poi l’idea di luglio, perché penso che uno come san Francesco ne sarebbe stato entusiasta! Mi spiego: Francesco era un uomo dalle tante quaresime. A quella che tutti conoscono, e che trascorreva nel digiuno e nel silenzio – come per esempio quella volta su un’isola del lago Trasimeno (FF 1835) –, il santo ne aggiungeva altre quattro: dell’Epifania (FF 1163); di avvento (FF 84); di san Michele (FF 785); degli apostoli Pietro e Paolo (FF 1165). Fanno in totale duecento giorni di quaresima l’anno! Qual è il segreto? È nascosto nel significato del termine «quaresima», dal latino quadragesima, e cioè «40 giorni». La durata del diluvio sulla Terra (Gen 7,17), i giorni che Mosè rimase sul Sinai con Dio (Es 34,28), gli anni trascorsi dal popolo nel deserto (Nm 14,34), il cammino di Elia nel deserto (1Re 19,8). E naturalmente i quaranta giorni del Gesù delle tentazioni (Mc 1,12). In tutti questi esempi, c’è una relazione molto forte tra esperienza di Dio, soprattutto esperienza della sua misericordia, e digiuno. Eccola di nuovo, la relazione! Ermes Ronchi nella sua rubrica di questo mese di marzo sul nostro “Messaggero di sant’Antonio” ben dice che Gesù non si ritirava nel deserto per stare da solo, ma per stare in ascolto del Padre, e questo fa tutta la differenza del caso. «Gesù non ama la solitudine, ama l’incontro. Entra nel silenzio della notte non per amore del silenzio, ma per amore della Parola del Padre». Buon incontro, cari lettori!