Il teatro produce solidarietà
A metà giornata, ore tredici, l’inizio della primavera scalda anche Torino. Un’ansa di Piazza Carignano si gode un frammento di sole. Marco conosce bene la piazza, ne apprezza l’acustica. Una lavagnetta, un cappello, una cassa sonora, libri e quaderni aperti, poggiati per terra. Lo spettacolo può cominciare con puntualità. Quattro ragazze sono sedute per terra. È una storia strana: c’è un uomo, l’aria spaesata, una lingua che pochi torinesi ancora parlano. È un venditore di acciughe appena riemerso da un sogno profondo. Riesce a parlare solo in piemontese: nessuno lo capisce, viene preso per straniero, per immigrato clandestino e messo sotto processo. A niente valgono i suoi tentativi di spiegare che lui è nato in questa terra. Tocca a un ragazzo maliano tradurre in italiano il piemontese dell’Anciové. Poi assieme precipitano nel mar Mediterraneo.
Altri ragazzi, nel frattempo, si sono seduti. Lentamente la piazza si affolla un po’, una cinquantina di persone. Si rispettano le regole imposte dalla pandemia. Mascherine, distanziamento. Marco mi dice: «È arrivata una signora e mi ha sorriso con felicità: finalmente posso venire a teatro anche io». Il teatro compie uno dei suoi miracoli. Marco Gobetti è un attore, da anni e anni alterna la piazza e il confronto con un pubblico casuale (molti sono passanti attratti da un uomo che «fa qualcosa» in mezzo alla strada) con i teatri ufficiali. Spesso gli spettacoli di Marco sono un riciclo: quanto ha messo in scena in teatro riappare sulla strada. C’è anche Pavese, in piazza Carignano, fra gli spettacoli di Marco: lui continua a credere nella Luna.
Un giorno alla settimana, nei mercoledì di marzo, Marco ha messo in scena tre spettacoli. Una reinvenzione del teatro nel tempo squassato dal Covid. «Dobbiamo cercare un nuovo pubblico, niente sarà come prima – dice Marco –. Quanto va in scena è riscritto in continuazione e, spesso, lo riscrive il pubblico». Con le sue reazioni: in piazza l’attore se ne accorge, gli spettatori possono andarsene scrollando le spalle. E allora l’attore, il drammaturgo interviene, modifica, riscrive. A volte arrivano suggerimenti diretti. Lontani dal chiuso dei teatri, l’attore si reinventa. Marco va oltre: «Bisogna essere poveri, provare a essere poveri, è necessario fare i conti con la provvisorietà: solo sulla strada ci possiamo imbattere in una utopia».
Il teatro diventa solidarietà concreta: offerta libera degli spettatori, cachet minimo per chi vi lavora, due terzi dell’incasso andranno ad atti di aiuto concreto. Affiora, imperiosa, la generosità della gente. Coperte per i senza tetto; pasti caldi «di qualità» da distribuire nel vecchio quartiere di San Salvario; assistenza ai braccianti agricoli delle campagne di Saluzzo. «Il pubblico suggerirà anche azioni di solidarietà – dice Marco –. Attori e spettatori compiono gesti consapevoli, si assumono responsabilità». È la consapevolezza pubblica che i lavoratori della cultura, gli spettatori, la gente sono nella stessa barca, in mezzo a una pandemia e solo assieme si potrà trovare una rotta per raggiungere un spiaggia dove rinascere.
Info: http://www.compagniamarcogobetti.com/teatro-di-riciclo/
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