Il turbante azzurro
«Ciò che lentamente prendeva forma dentro di me nei lunghi mesi passati si è fatto ora certezza folgorante: il dolore colpisce, intercetta una vita facendole comunque del male, prende una traiettoria e prosegue con inerzia verso un esito sconosciuto, mai uguale, mai prevedibile. Bisogna afferrarlo un dolore e bisogna consegnarsi a lui; parlargli e ascoltarlo, bisogna agirlo e patirlo. E poi, se possibile, provare a decidere cosa farne. Sento che per me la cosa più bella e naturale è riuscire a farne dono agli altri».
Da questo desiderio è scaturito il bel volume Il turbante azzurro, scritto a quattro mani da Beatrice Gatteschi, libraia milanese, e Roberto Maier, prete e docente di Teologia all’Università Cattolica. Una sorta di epistolario che nasce dal bisogno di rielaborare, rivivendola attraverso la narrazione, l’esperienza del «male inatteso», capace di ribaltare in pochi giorni un’intera esistenza.
La vicenda trae origine da un banale controllo clinico di routine, nel corso del quale viene riscontrata a Beatrice la presenza di un nodulo sospetto che si rivelerà essere un cancro al seno. Parola che ancor oggi terrorizza e che apre a prospettive incerte, a ombre di morte, a paure che non si riesce a chiamare per nome. Comincia così per la donna – poco più che quarantenne, sposa e madre di due bimbi ancora piccoli – una personale via crucis che la porterà all’incontro/scontro innanzitutto con il rancore, con la rabbia verso quel corpo dal quale si sente tradita, poi con la riconciliazione e infine con la cura, cura medica fatta di intervento chirurgico e dolorose terapie, ma anche cura quotidiana, quella che l’uomo e la donna saggi riservano al proprio corpo, sano o malato che sia.
E poi, piano piano, la risalita alla luce, fino a giungere, a tre anni di distanza dalla dura diagnosi alla guarigione. Leggere queste pagine fa bene. Fa bene a chi la croce della malattia l’ha attraversata o la sta ancora attraversando, ma anche a chi «semplicemente» ha accompagnato o sta accompagnando lungo questo percorso una persona cara. Ci si ritrova, ci si riconosce nelle descrizioni, acute e delicate al contempo, di Beatrice, nei modi in cui ciascuno fa i conti con il dolore proprio o altrui.
Ed è una lettura di sé che aiuta a crescere, se lo si vuole. Se si decide di accettare la sfida della sofferenza. E qui entrano in gioco le pagine finali del volume, una rilettura firmata da Silvano Petrosino, docente di Semiotica alla Cattolica. Emergono in tale ambito i temi chiave del libro. Innanzitutto quello della responsabilità, cioè della capacità di rispondere agli eventi della vita in modo razionale. Poi quello dell’amore. L’amore quotidiano, semplice, che accompagna, sostiene, dona forza. Infine, quello della testimonianza. Perché Beatrice non si limita a «registrare» la sua esperienza, ma la rivive, entrando di nuovo in quel dolore che lei riesce a trasformare in dono per se stessa, per chi le è accanto e per chi leggerà queste splendide pagine.