La fragilità è un pacco?

L’abbinamento disabilità fragilità non è più in voga, ma nella pratica non sempre è così. Eppure, chi lo dice che la persona disabile debba essere per forza «fragile».
03 Agosto 2019 | di

Durante un rapido passaggio a casa, per il cambio di valigie mare-montagna, mi sono accorto con piacere dell’arrivo dei bicchieri di cristallo che attendevo da tempo. Sul pianerottolo eccolo lì, il classico pacco di cartone marrone con la scritta «fragile». Naturale: il cristallo, si sa, tende a rompersi facilmente. Qualcosa però ha subito attratto la mia attenzione. Accanto al pacco ecco infatti campeggiare una grossa freccia nera, rivolta all’insù. Intorno a questa semplice immagine una serie di riflessioni e associazioni si sono accavallate nella mente, prima tra tutte la parola «fragilità» e quel che di solito siamo abituati a farle corrispondere.

In base a che cosa, infatti, definiamo un oggetto più o meno fragile? Dipende dalla consistenza, direte voi, dalla robustezza, dalla capacità di reggere agli urti e alle cadute, dall’aver bisogno o meno di particolare cura e manutenzione. Pensate poi all’azione che compiamo quando solleviamo un peso: ci abbassiamo, abbassiamo le braccia, le gambe, ma anche gli occhi e lo sguardo per prendere le misure con la fatica che, pensiamo, ci aspetterà.

In realtà spesso ci dimentichiamo che ai pacchi più fragili è abbinata anche un’altra scritta: «Tenere verso l’alto», il che cambia completamente la prospettiva. Che fare allora? Guardare in basso o guardare in alto? Scegliere a volte non è del tutto immediato. Se guardo in basso, infatti, avvertirò solo il peso della fragilità, ma se guardo troppo in alto rischio di maneggiare il suddetto pacco con eccessiva delicatezza, come se avessi per le mani un oggetto dall’alto valore spirituale.

Ovviamente dove voglio andare a parare lo avete già capito, così come chi e che cosa rappresenta quel pacco.

Quando ci approcciamo alla fragilità, insomma, tendiamo a complicarci la vita. Ci dimentichiamo che esiste un equilibrio tra lo sguardo che sta in basso e quello che sta in alto e che è proprio lì in mezzo che la maggior parte delle nostre forze e possibilità si concentra.

Prendere la fragilità per quello che è ‒ né troppo pesante né troppo leggera ‒ significa aiutarci e aiutare il pacco a mantenersi stabile, e a non causare, in chi se ne fa carico, dispersioni e dispendi di energie. L’atteggiamento con cui lo faremo è altrettanto importante delle tecniche di sollevamento che impiegheremo. Se siamo ossessionati dal mantenere l’equilibrio è quasi certo che il nostro pacco prenderà il volo al primo sassolino nella scarpa.

L’abbinamento disabilità-fragilità si potrebbe dire che ormai non è più in voga, ma sappiamo bene che nella pratica non è del tutto così. La parola «fragilità» genera ancora intorno a sé un meccanismo di azioni e reazioni che hanno a che fare con la paura, l’ansia da prestazione, la sublimazione degli istinti o delle peculiarità propri di ciascuna persona.

Prendere le misure «a tu per tu» con il pacco, alzarlo, abbassarlo, spostarlo, scegliere se e quando seguire le indicazioni della freccia è probabilmente il  modo più utile per non danneggiare il contenuto.

Anche se… lo sapevate che il cristallo può essere molto più resistente del vetro?

E voi, da che lato guardate le vostre fragilità? Dall’alto o dal basso?

Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.

 

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Data di aggiornamento: 03 Agosto 2019
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