La Regina della scultura
Un bocciolo di alluminio al posto della bocca, due riccioli metallici per narici, una coppia di foglioline in lamina laddove dovrebbero stare gli occhi. Non lasciatevi ingannare dalla freddezza del materiale o dalla semplicità compositiva. Dietro questa maschera femminile, plasmata tra il 1930 e il 1934, c’è molto più di quel che appare. A realizzarla, del resto, è stata una donna piena di sorprese, un animo semplice e insieme complesso che in mezzo secolo di attività non si è mai piegato agli incasellamenti e ai diktat del sistema arte. Stiamo parlando di Regina Cassolo Bracchi (1894-1974), la prima donna dell’avanguardia italiana a dedicarsi interamente alla scultura. Anche se definirla scultrice è un po’ riduttivo…
Visitare per credere la monografica che il GAMeC di Bergamo le dedica fino al 29 agosto. Con 250 opere tra sculture, mobiles, disegni, cartamodelli e taccuini frutto di una recente acquisizione, «Regina. Della scultura» a cura di Chiara Gatti e Lorenzo Giusti costituisce la prima retrospettiva italiana dell’artista. Una tappa che assume ancora più valore se accostata alla collettiva «Women in abstraction», al Centre Pompidou di Parigi fino al 23 agosto (dove compaiono, tra le altre, opere della scultrice lombarda). L’arte contemporanea è (anche) femmina. E quest’estate in particolare è impossibile dimenticarlo.
Artigianato femminile
Una donnina esile come i canarini che si portava sempre dietro in una gabbietta a mo’ di marsupio. Il sorriso garbato, gli abiti bien demodé, i modi pacati di chi non vuole emergere. Appare così nelle (rare) immagini d’epoca Regina Cassolo Bracchi. Tanto semplice e ordinaria in superficie, quanto complessa e articolata oltre la corteccia del sensibile. Per capire le due facce della donna-artista la mostra alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo prende in esame un ampio intervallo di tempo che va dagli anni ’20 ai primi anni ’70 del secolo scorso.
Cinquant’anni di ricerca e sperimentazioni tra opere «accademiche» e pionieristiche, tentativi, fallimenti e successi più o meno inaspettati. Regina la figlia di un macellaio di Mede, in provincia di Pavia. Regina la studentessa d’arte (studia all’Accademia di Torino e a quella di Brera a Milano), l’allieva dello scultore-ceramista Giovanni Battista Alloati. E ancora: la massaia borghese che vive a Milano in via Rossini, la moglie del pittore paesaggista Luigi Bracchi, la pioniera di «arte bizzarra» che nascondeva le sue opere quando i collezionisti facevano visita al marito…
La riservatezza è una costante nella vita di Cassolo, accentuata anche da un periodo storico in cui la donna è relegata ai margini. Non fa eccezione il mondo dell’arte, per quanto con l’avvento del futurismo si affaccino sulla scena diverse personalità femminili di rilievo, da Valentine de Saint-Point (autrice del Manifesto della Donna futurista nel 1912) in avanti. Regina fa parte della categoria, anzi in un certo senso in Italia ne è l’apripista. Dopo le prime opere «accademiche» ancora impregnate di realismo, la sua scultura subisce un continuo rinnovamento. Nella forma, nel metodo e non di meno nei materiali.
Regina passa dalla carta alla lamina (che plasma con l’aiuto di spilli e cartamodelli come una vera sarta), dall’alluminio alla plastica fino al plexiglass. È la prima in Italia a utilizzarlo recuperandolo dagli aerei, nel dopoguerra. Sull’onda dell’artigianalità, Regina crea composizioni col filo di ferro e la carta vetrata, perché per lei la semplicità e l’ordinario non sono un limite, bensì una risorsa. «L’arte per essere viva deve essere attuale – scrive su un taccuino –. Fin da bambina avevo tanta fiducia nel progresso, da essere convinta di non morire più! Ancora oggi la speranza rimane». Proprio questa sua fiducia nel progresso è la leva che la spinge verso il futurismo.
Dal futurismo al Mac
Corre l’anno 1933 quando Regina aderisce ufficialmente al movimento di Marinetti. L’anno successivo firma il Manifesto tecnico dell’aeroplastica futurista (a questo periodo appartengono Piccola italiana e Aerosensibilità, entrambi del 1935). Ma Regina non è tipo da restare «nei binari». Per quanto di binari controcorrente si tratti. Man mano che crea, tende sempre più alla smaterializzazione dell’oggetto plastico. La trasparenza e la leggerezza, intervallate da influssi dadaisti (vedere Polenta e pesci, 1932) e astratti, sono il suo marchio di fabbrica per tutto il decennio. Finché, con l’avvento degli anni ’40, l’artista non inizia a cercare nuovi spunti, questa volta direttamente nella natura.
Matita alla mano, Regina prosegue la sua indagine compositiva ed espressiva schizzando centinaia di fiori di campo su taccuini (che ora fanno parte della Collezione Archivio Fermani). Lo studio della botanica, abbinato a quello della geometria, la accompagna alle soglie degli anni ’50, giusto in vista di una nuova svolta creativa. È il 1951 quando, grazie a Bruno Munari, la scultrice si avvicina al Mac, il Movimento Arte Concreta. Le sue varie Strutture del periodo raccontano una sintesi portata ormai all’estremo. Sempre più svincolata da forme e proporzioni, Regina assembla cerchi, ellissi e triangoli in totale autonomia. Emblematica in tal senso è la Composizione concreta del 1955, in cui l’artista sovrappone quattro triangoli inscritti in un semicerchio. Lo spettro di Braque e Picasso aleggia sull’opera, che gioca argutamente coi pieni e i vuoti in un lampante rimando alla tradizione cubista.
Dall’assemblaggio di volumi geometrici al collage il passo è breve. Se è vero che ogni smaterializzazione che si rispetti torna sempre, in un modo o nell’altro, alle origini, il Modello per scultura mobile degli anni ’60 ne è la prova in «carta e ossa». Nella ormai consueta sovrapposizione di figure geometriche, fa capolino stavolta un intruso… L’occhio di donna che ammicca da un angolo sulla destra della composizione – con tutta probabilità il ritaglio di una locandina o di un giornale – ci riporta al realismo accademico degli inizi. La tentazione di confondere l’opera con un puro esercizio di stile è forte. Ma, in fondo, Regina ha colpito ancora una volta nel segno. Il suo collage, sicuramente provocatorio, potrebbe essere riprodotto da chiunque. Ed è questo il punto. L’artista ha intuito il concetto di serialità e l’ha fatto proprio. Le sue «costruzioni talmente elementari che potrebbero essere riprodotte da chiunque in base ad una mia esatta descrizione» segnano la strada per l’arte da lì a venire.
Dall’altro lato dell’Oceano, nel frattempo, Andy Warhol cavalca il successo e conquista il mercato con le sue serigrafie, neanche a dirlo, in serie. Quando, nel 1974, Regina Cassolo Bracchi muore a Milano per le conseguenze di una caduta domestica, il padre della pop art è impegnato a inaugurare una personale al Musée Galliera di Parigi. Ha inizio un nuovo capitolo dell’arte contemporanea. Ma questa è un’altra storia…
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