La sete di Dio di Charles de Foucauld

L'1 dicembre di cent'anni fa moriva nel deserto algerino Charles de Foucauld, il beato "fratello universale" che lascia ai cristiani una straordinaria eredità spirituale ancora in buona parte da scoprire.
01 Dicembre 2016 | di

Parigi, ottobre 1886. Un giovane ereditiero squattrinato (il patrimonio l’ha dilapidato in bagordi) alla soglia dei trent’anni, ex ufficiale dell’esercito, medaglia d’oro della Société de géographie per le sue avventurose esplorazioni del sud del Marocco, è in crisi. Spirituale.

Reduce da «dodici anni senza niente negare e senza niente credere, disperando della verità», sostanzialmente ateo «poiché nessuna prova mi pareva abbastanza evidente», si ritrova ad «andare in chiesa, senza credere, non trovando bene altro che là e passandovi lunghe ore a ripetere questa strana preghiera: “Mio Dio, se esisti, fa’ che ti conosca!”». Proprio una «strana preghiera» la prima che sgorga dal cuore assetato di Charles de Foucauld, nella ricostruzione che egli stesso ne fa in una toccante lettera inviata anni dopo all’amico Henry de Castries.

Quel Dio invocato non solo esiste, ma si fa conoscere da Charles, e in modo speciale. Il passaggio è repentino: «Appena credetti che c’era un Dio, capii che non potevo vivere che per lui». Il primo «sì» dovrà poi essere ribadito tante volte, nel cammino, per giungere ad affidarsi in pieno al Signore della vita: «Padre mio, mi abbandono a Te, fa di me ciò che ti piace» è l’inizio della sua più nota preghiera. La parabola da credente di Charles de Foucauld durerà trent’anni, fino al primo dicembre 1916, quando un gruppo di predoni la interromperà bruscamente, nella sua Tamanrasset, Algeria del sud, cuore del Sahara.

Il pallottoliere delle ricorrenze offre allora l’occasione per tornare sulla vicenda del «fratello universale», al termine di un anno speciale, incastonato tra i cent’anni della morte e il decennale della beatificazione, caduto il 13 novembre 2015.

«Ho l’impressione che frère Charles sia più famoso che conosciuto, e che la sua notorietà, in genere, sia basata su una conoscenza di “seconda mano”» scriveva nel 2002 padre Andrea Mandonico della Società delle missioni africane (Sma), in Nazaret nella spiritualità di Charles de Foucauld (Emp). Interpellato, ci ha confermato la sua impressione di quindici anni prima: «La situazione non è troppo mutata, perché la spiritualità di fratel Charles in Italia è stata conosciuta attraverso la pur splendida mediazione di René Voillaume, il fondatore dei Piccoli fratelli di Gesù, molto meno andando a leggere direttamente i testi originali».

Padre Andrea quei testi li ha studiati a fondo in qualità di vice postulatore della causa di canonizzazione, e proprio da questa frequentazione trae tre motivi del fascino che la figura di fratel Charles emana: «Innanzitutto, con le sue intuizioni ha preparato il Concilio Vaticano II, e penso in particolare al suo mettere al centro della fede la persona di Gesù. Il secondo punto è collegato: è il ritorno al Vangelo, vissuto sulla propria pelle, incarnato. Infine, è stato uomo di dialogo. Di attenzione al prossimo. Una volta si partiva per fondare la Chiesa; egli partì per annunciare Cristo nel mondo “alla maniera della visitazione”, come diceva lui, senza grandi opere né proselitismo, con una presenza di santità personale in mezzo a gente che non aveva mai sentito parlare di Gesù. È quel grado di santità richiesto a ciascuno di noi per testimoniare il Signore, non a parole ma con la vita, anche nella nostra società secolarizzata. In questo, Charles de Foucauld è un maestro di prima qualità, un modello per tanti, modello di testimonianza e di radicalismo evangelico. Ha saputo indicare che o il Signore lo si prende sul serio, o non vale la pena seguirlo: un aspetto, questo, che soprattutto i giovani dimostrano di apprezzare».

La vita del beato de Foucauld illumina infine, evidentemente, il rapporto con l’islam, come sottolinea ancora padre Andrea: «Il dialogo contra spem, a tutti i costi e nonostante tutto praticato da fratel Charles è quanto mai attuale. Va sostenuto non tanto puntando sulla dottrina, perché su quella restiamo lontani, quanto sull’amicizia personale con i musulmani, sui rapporti umani che si instaurano nel vivere insieme quotidiano. Dialogo, amicizia e conoscenza portano alla caduta dei pregiudizi e della paura reciproca».

 

L’articolo completo è pubblicato nel numero di dicembre del «Messaggero di sant’Antonio» e nella versione digitale della rivista.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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