La suora della pallavolo
La capitana della nazionale femminile? Il talento azzurro più cristallino? Il volto italiano più noto della nostra pallavolo? Sì, giocano tutte a Novara, Agil volley, la squadra campione d’Italia che per la prima volta nella sua storia si è conquistata il diritto di giocare con lo scudetto tricolore stampigliato sulla maglia. E la stagione in corso ha già portato un nuovo successo in casa Agil: la supercoppa italiana conquistata l’1 novembre. È la punta di diamante di un movimento rilevantissimo nel nostro Paese che, con oltre 250 mila atlete (dati Fipav 30 giugno 2017), è il più strutturato e diffuso a livello di sport femminile.
Ma per raccontare questa storia dobbiamo spegnere le luci della ribalta e fare un sostanzioso passo indietro, fino a tornare a inizi anni Ottanta quando quasi tutte le campionesse di oggi non erano nemmeno nate. Dobbiamo uscire da Novara direzione Milano, e fermarci, prima di attraversare il confine tra Piemonte e Lombardia, a Trecate, paesotto di provincia dove, per caso, esiste un terreno incolto, abbastanza in centro abitato e abbastanza grande da poterci costruire qualcosa di importante. Sempre «per caso», proprietarie di questo «campo di patate» edificabile sono delle suore, le quali, in comunità, si mettono a discutere su che cosa realizzare, sia in termini di murature che di parallelo progetto pastorale. A un certo punto sembra prevalere una proposta: una casa di riposo per anziani. Intercetterebbe un bisogno reale e sarebbe conforme a un certo modello di impegno ecclesiale molto in voga.
Qualche altra consorella ha un progetto diverso e lo rilancia: costruiamo un piccolo palazzetto dello sport. Farebbe da punto di riferimento per tanti giovani e per le famiglie. Serve coraggio però: un investimento a lungo termine, un impegno non banale quanto a energie e prospettiva. L’idea si fa lentamente breccia. Le suore il coraggio ce l’hanno e lo mettono in gioco. Un po’ meno le persone intorno, tant’è che non manca qualche sorriso di scherno e qualche scrollata di testa: ma dove vogliono andare a finire ’ste suore? Oggi lo possiamo dire: a vincere lo scudetto! Già, perché quel nome così strano della squadra novarese, «Agil», non è quello dello sponsor, bensì l’acronimo scelto dalle sorelle ministre della carità di San Vincenzo de’ Paoli per dire fin da subito i valori a cui tengono e che vogliono trasmettere. «A» sta per amicizia, «G» per Gioia, «I» è Impegno e «L» Lealtà.«Valeva ieri, nel 1983, quando Agil è nata, e vale oggi, mentre è ai vertici nazionali» afferma Giovanna Saporiti, la suora che in quella famosa discussione sulla destinazione d’uso del terreno alzò la mano per il progetto sportivo. E che ancora adesso presiede la società campione d’Italia.
Questa è la storia di una squadra di pallavolo, indubbiamente, ma è anche la storia di suor Giovanna. Quando le telecamere di RaiSport inquadrano la panchina del Novara, nelle numerose dirette delle partite, è difficile non notarla. D’accordo, se si cala nel ruolo di presidente non indossa il velo, ma è riconoscibile in quella signora di mezza età, capelli corti, occhi chiari, abito scuro, in prima fila da prima tifosa oltre che da dirigente. «Ho sempre avuto il pallino per lo sport» racconta suor Saporiti. «Da ragazza ho provato in particolare basket e tennis, poi, quando a 20 anni la mia vita è cambiata per la scelta vocazionale che ho abbracciato, non ho più potuto praticare in prima persona, anche perché al tempo non era molto consueto per la tradizione ecclesiale che una suora facesse attività fisica. Però mi era rimasta nel cuore la passione per avvicinare i giovani con lo sport».
Se giocassi sarei palleggiatrice
E il «campo di patate» degli inizi? Oggi è un centro sportivo che funge da quartier generale, con gli uffici della società e i due campi da gioco, ovvero il palazzetto dello sport e una tensostruttura, punto di riferimento per le numerose squadre Agil (serie A1, B2, C, D, I divisione, Under 18, 16, 14, 13, 12, minivolley). Significa un gran turbinio di giovani, di famiglie e di addetti ai lavori. «A ciascuna persona con cui veniamo a contatto – spiega la presidente – cerchiamo di comunicare la forte valenza educativa dello sport, che è agonismo ma anche dono, vittoria e sconfitta, è collaborazione e oblatività, accoglienza del compagno di squadra e considerazione dell’avversario, è affrontare la paura e il limite. Infine è rispetto delle regole, un aspetto fondamentale da trasmettere tanto ai genitori quanto ai giovani. Con tutti questi successi proviamo a costruire insieme le basi che li aiutino a diventare degli adulti solidi e responsabili».
Ultima scena. Sul parquet del palazzetto di Novara, le ragazze della serie A stanno affrontando l’ennesima sfida. Al centro l’esuberante Cristina Chirichella, la «principessa» capitana della nazionale italiana, si fa sentire soprattutto a muro, mentre per l’attacco ci pensa l’elevazione vertiginosa e la potenza di fuoco della giovanissima Paola Egonu, talento indiscusso. In banda, poi, dà sicurezza a tutte col suo carisma la capitana, quella Francesca Piccinini che, non da oggi, è il volto più noto della pallavolo tricolore.
Suor Giovanna è lì in panchina, a coccolarsele con lo sguardo e a spronarle quando serve. In campo non entrerebbe proprio? Ed eventualmente, in quale posizione? «Mah, di certo il ruolo che mi affascina è quello del palleggiatore. Perché è il regista della squadra. E guardando alla mia storia mi sembra di poter dire che essere alla regia sia un po’ nel mio dna...».
L’articolo completo è disponibile nel numero di dicembre 2018 del Messaggero di sant’Antonio e nella sua versione digitale.