L’amico «Sansoto»

A cent'anni dalla nascita del grande poeta di Pieve di Soligo (TV), il caro ricordo di un amico...
24 Ottobre 2021 | di

La poesia è sintesi di immagini e pensiero, e anche quando semplice e accessibile deve comunque essere tale. Ma deve costare un po’ di fatica, altrimenti rinuncia a una sua centrale funzione che è quella di svegliare la mente nel mentre sollecita il sentimento, una nostra capacità di sentire che è di mera sensualità (che non è una parolaccia). Andrea Zanzotto, il poeta di Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, uno dei più grandi del Novecento, non era sempre (ma talvolta sì) un poeta facile, e sapeva che per andare a fondo di un pensiero che si fa verso ci vuole ostinazione e fatica, in colui che scrive come in colui che legge. Già i titoli delle sue raccolte ne danno l’idea: Dietro il paesaggio (ma potremmo anche dire «dietro le cose», «dietro l’esperienza»...), Vocativo, IX Ecloghe, La beltà...

Nella sua lunga vita – è stato partigiano, è stato insegnante (e figlio di insegnanti), traduttore dal francese (del grande Leiris, dell’arduo Bataille di La letteratura e il male) – Zanzotto è tra i grandi italiani del Novecento, e in particolare uno dei veneti più grandi. Fu tra coloro cui dedicammo con Gianfranco Bettin e Nicola De Cilia un libro negli anni Novanta del ’900 intitolato Il Veneto che amiamo, dove, oltre a lui, intervistammo Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern, Fernando Bandini, cioè voci di una grande stagione della cultura di quest’amata regione.

Ho avuto la fortuna di diventare amico di Zanzotto da quando sui Quaderni piacentini pubblicavamo le poesie dei grandi del tempo, con lui Sereni e Giudici, Roversi e Fortini, Bandini e Majorino e Raboni e altri ancora. E ho conosciuto molti suoi sodali, per esempio altri veneti come Tono Zancanaro a Padova, Silvio Guarnieri a Feltre, Fernando Bandini a Vicenza, Mario Rigoni Stern sull’Altopiano, ma purtroppo non l’amato, da loro tutti e da noi, trevisano Comisso... E ho il ricordo di una persona affabile e gentile, dotata di un humour mai malevolo, aperto, facile all’amicizia per chi stimava. Ed era bello sentire la sua voce quando telefonava (Fortini l’imitava magnificamente): «Sono Sansoto...».

Non mi stupì il suo incontro con Fellini, che gli chiese consigli e versi, una cantilena quasi infantile, da veglia contadina, Filò, per accompagnare alcune scene del suo più arduo capolavoro Il Casanova. Volle che andassi a Mestre a parlarne, per mettere a confronto, quando lui non poté muoversi perché già malato e stanco, due modi diversi ma vicini di cercare e ritrovare un’infantile irrazionalità. E volle che Marisa, la moglie, registrasse i miei (banali) paragoni, a partire da qualcosa che rimaneva decisamente veneta, e voleva essere anzi veneziana, lagunare...

Ricordo con particolare affetto le visite a casa sua a Pieve di Soligo, sempre con Bettin o con De Cilia (cui avevo imposto, visto che sapeva guidare, di mettersi a disposizione di Andrea qualora ne avesse avuto bisogno!) e una volta o due con Giorgio Agamben, che stimava Zanzotto, diciamo, da filosofo a filosofo... E per tutti questi doni della sorte, mi invidio da solo!

 

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Data di aggiornamento: 24 Ottobre 2021
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