Le cooperative che ripopolano il Sannio
Alla Fattoria sociale Villa Mancini le galline sembrano tutte piuttosto felici, e solo Florenzio sa prenderle in braccio. Gli altri vengono scansati con un diplomatico dribbling. Non a tutte le galline è concesso dribblare, razzolare liberamente all’aria e vedere la luce del sole, nonostante lo psicanalista americano Jeffrey Moussaieff Masson sia stato molto chiaro: «Alle galline piace stare al sole; rotolano su un fianco, allungano un’ala per esporla ai raggi, poi rotolano sull’altro lato e fanno lo stesso: una gallina che non vede mai il sole non potrà essere felice». Va da sé che la fatidica dicitura «allevate a terra», ovvero in affollatissimi capannoni, non fornisce alcuna garanzia di reale benessere e felicità animale. Gentile e silenzioso, Florenzio mi è sembrato una buona garanzia. A Villa Mancini, in questa particolarissima oasi in provincia di Benevento, si raccolgono tutte le mattine una sessantina di uova fresche biologiche, di galline allevate tra la terra e il sole. E si fanno oggetti e bomboniere artigianali con materiali naturali, come il legno, la juta, il feltro.
Al Borgo Sociale di Roccabascerana, in provincia di Avellino, invece, si realizzano manufatti tessili e si raccolgono erbe mediche da utilizzare in tisane e infusi solidali, non particolarmente esotici ma del tutto privi del retrogusto del neocolonialismo. All’Orto di Casa Betania, di Benevento, si producono ortaggi che vengono raccolti direttamente davanti all’acquirente e all’Albergo Diffuso di Campolattaro, ancora nel Sannio, si punta a integrare cooperazione sociale e servizi turistici in maniera inclusiva.
Un consorzio multicolore
In tutti questi luoghi, e nei centri Sprar gestiti dalla Caritas di Benevento, il consorzio Sale della terra onlus, composto da quattordici cooperative quasi tutte sociali con il sostegno etico di Caritas, realizza produzioni agricole e artigianali attraverso l’impegno di tante persone riconducibili principalmente a tre gruppi: migranti e rifugiati accolti negli Sprar, persone soggette a misure alternative alla detenzione, uomini e donne in situazione di fragilità psichica e familiare che partecipano a Progetti Terapeutici Riabilitativi Individualizzati (in breve Ptri). Hanno le storie più varie e singolari, caratterizzate da svantaggi e disagi, vissuti talvolta estremi e spesso dolorosi.
Da tre anni, nel centro di Roccabascerana, Giuseppe,la cui vita è segnata da profonde perdite affettive, si occupa della manutenzione del boschetto, della raccolta delle erbe e della coltivazione di frutti di bosco. Ma dà una mano anche in sartoria e in falegnameria. «Perché qui funziona così – spiega Ercole –, chi più ha più dà. È un posto da cui si può ripartire e in cui si può restituire qualcosa». Un posto immerso nel verde, caratterizzato da una temporalità diversa rispetto a quella, frenetica e competitiva, del mondo degli uffici e del consumo sfrenato. «Ogni mattina – racconta Antonio – cammino nel verde per cinque chilometri, dopo aver corso per anni nel tunnel della droga. Nel mio passato invece della natura c’era la chimica, invece dei ritmi lenti del paesaggio c’erano i tempi accelerati degli stupefacenti».
Le storie degli ospiti del Borgo Sociale sono a tratti eccezionali e, proprio nella loro eccezionalità, sono in grado di offrire spunti e insegnamento per tutti. Anche le esistenze più tranquille subiscono i condizionamenti di un’economia «drogata», di un turbocapitalismo che ruba all’anima tempo ed energie, ovvero libertà. Che ruba felicità. Forse è per questo che la più grande azienda di shopping online del mondo ha un logo che sorride: il consumismo promette di restituirci, ovviamente a pagamento, quella felicità rubata dal suo stesso sistema economico. A ben guardare, dietro la maggior parte dei prodotti gioiosamente proposti dalle pubblicità, in qualche punto della catena produttiva o distributiva, ci sono vessazioni, caporalato, sfruttamento minorile, torture agli animali negli allevamenti intensivi, agguerrite politiche di accaparramento delle risorse.
Storie di vita e resistenza
Dietro le piccole aziende indipendenti, dietro l’artigianato territoriale, dietro l’agricoltura relazionale, dietro l’economia sociale, dietro le produzioni del Sale della terra ci sono invece storie di vita e resistenza. «Lo scopo del consorzio – spiega Gabriella Debora Giorgione, che si occupa della comunicazione – è quello di utilizzare il processo produttivo di vino, olio o oggetti di artigianato per produrre prima di tutto coesione sociale. Per Antonio, Giuseppe e tutti gli altri una bomboniera non è un oggetto da cerimonia, è una rinascita personale. Ogni singolo oggetto prodotto è un pregiatissimo pezzo di una nuova esistenza».
E alle rinascite personali si accompagna spesso la rinascita di terre incolte e abbandonate, sottratte allo spopolamento e rese di nuovo feconde attraverso il ripristino di antichi vigneti e uliveti. Come i 15 mila metri quadri di terreno di Villa Mancini, recuperati assieme a un rudere che oggi è una casa accogliente e una fucina creativa. Tuttavia, il consorzio fatica a trovare nuove terre da affittare: un piccolo paradosso in una provincia rurale a sua volta segnata dall’emigrazione e dall’abbandono delle campagne.
Non sono molti, in verità, i migranti che approdano nel Sannio sognando di vivere in un piccolo paese appenninico. «Molti fuggono dalle tenebre della guerra pensando alle luci e alle insegne scintillanti delle capitali europee. Poi si ritrovano qui – spiega il coordinatore della Caritas di Benevento Angelo Moretti, direttore generale del consorzio – e scoprono che si vive bene, talvolta illuminando persino le persone del posto sulla fortuna della propria terra». Accade così che Comuni ormai morenti registrino piccole crescite demografiche, scuole materne semiabbandonate tornino ad avere i numeri per aprire la sezione primavera. E paesi dell’entroterra campano diventino «Porti di terra», che poi è il nome del festival dell’accoglienza tenutosi a maggio nel Sannio, sull’onda del Manifesto dei Piccoli Comuni del Welcome con il quale la Caritas di Benevento ha proposto politiche di welfare locale a «esclusione zero», in grado di ridare fiato ai piccoli centri privi di risorse. E ora tocca ai Comuni, ai cittadini, ai proprietari terrieri, ai contadini: si aspettano altre terre, altri mondi da salvare.