Le (tante) facce dell'inchiesta

Da quella sociale a quella partecipata, l'inchiesta non si limita a denunciare una realtà e a sensibilizzare su un determinato problema. Leggere per credere gli insegnamenti di Maria Comandini Calogero e la sua «piccola inchiesta non trasferibile».
20 Novembre 2019 | di

Declinato in vari modi, il tema dell’inchiesta sociale è da tempo molto discusso in campo giornalistico ed editoriale, ma molto meno in quello universitario, per esempio nelle cattedre di sociologia (in nera crisi oggi, almeno quanto quelle di pedagogia). I quotidiani non pubblicano vere inchieste da anni – costano troppo! –. Lo fanno però le case editrici, disposte a finanziare ricerche «di successo», su temi prevedibili e di moda. Fare inchiesta è possibile peraltro in più modi diversi, e quelli più seriamente «politici» non sono quelli che si limitano alla denuncia, ma quelli che sollecitano la presa di coscienza dei problemi di una comunità o di una categoria da parte dei diretti interessati, gli intervistati. Si parla allora di «inchiesta partecipata», di «inchiesta dal basso», di inchiesta finalizzata a un concreto intervento sulla realtà, a cambiare una situazione, una condizione, uno stato delle cose, a rimediare a dei problemi gravi, cominciando a portare chiarezza allo scopo di portare giustizia.

Ma c’è anche un altro modo, più immediato e più semplice. Lo teorizzò nel dopoguerra una gran donna, Maria Comandini Calogero, di famiglia romagnola di tradizioni mazziniane e antifasciste e moglie del filosofo Guido Calogero. Ella fu tra le ispiratrici fondatrici nel 1947 di una professione che per almeno tre decenni ha avuto un grande ruolo da svolgere nella nostra società, quella di assistente sociale, diventata col tempo troppo burocratica e che ha lasciato il posto, nel cosiddetto «sociale», al volontariato, appena ieri, e oggi agli «operatori sociali», al margine delle istituzioni o fuori. Di Maria Calogero voglio ricordare un insegnamento particolare: quello per un tipo di inchiesta che ognuno di noi può e dovrebbe fare, e che lei chiamava «la piccola inchiesta non trasferibile».

In breve: vivi in un quartiere? Pratichi un mestiere, operi in una istituzione? Impara a osservare e a interrogarti sui rapporti che vi vigono tra le persone, i mestieri, le classi, e a ragionare sui modi di comportamento, sulle connessioni e disconnessioni, sui rapporti di potere, e pensa di conseguenza, con questa conoscenza acquisita, al modo in cui intervenirvi, a un tuo modo attivo di stare nell’ambiente, un modo che ti ponga dalla parte di chi ha bisogno di giustizia e non di chi la nega con il suo appartenere a una classe o categoria privilegiata. In fondo, potremmo anche dire che ogni maestro elementare di un certo quartiere o villaggio, ogni parroco, ogni funzionario ma anche ogni cittadino bene intenzionato (è importante, essere bene intenzionati!) deve fare la sua piccola inchiesta non trasferibile, se vuole agire con qualche efficacia nell’ambiente in cui opera o in cui, semplicemente, si trova a dover vivere.

 

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Data di aggiornamento: 20 Novembre 2019
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