Lettera a una ragazza in Turchia
Antonia Arslan tiene ben saldo il filo che la lega stretta ormai da molti anni al «popolo scomparso», gli armeni, vittima di un genocidio nel 1915. L’ultimo suo libro, Lettera a una ragazza in Turchia, è forse quello più vicino a La Masseria delle allodole, romanzo sul genocidio tradotto in venti lingue e diventato anche un film dei Taviani. Da quando la scrittrice padovana ha cominciato a lasciar parlare le «voci del passato», attingendo al bagaglio di memorie della sua famiglia e alla valigia dei ricordi, sono riemersi tanti dei personaggi che hanno popolato i suoi libri. In questa Lettera sono confluite anche le storie di quattro fratelli medici nel 1915, antenati comuni di cugini americani, che Antonia Arslan ha ritrovato grazie al successo ottenuto in tutto il mondo.
Per capire la genesi di questo libro va aggiunto che l’autrice nella sua carriera di docente universitaria ha dedicato molti studi alla scrittura femminile, alle scrittrici italiane dell’Ottocento. E alle donne Arslan ha sempre riservato molta attenzione. Anche nel precedente Libro di Mush c’erano delle protagoniste alle prese con un salvataggio quasi impossibile. Questo libro raccoglie ancora tre storie di armene, forti. Esempio, quindi, di coraggio tutto femminile.
Lettera a una ragazza in Turchia nasce in aereo, esattamente un anno fa, il 30 marzo 2016, mentre Antonia Arslan sorvolava l’Oceano, nella tratta da Venezia a New York. In un anno funestato da attentati e altri eventi drammatici, emerge ancora una volta prepotente il dovere di raccontare la storia dei superstiti armeni e anche di quelli che non ce l’hanno fatta: «Sulle mie spalle si posa inflessibile il popolo scomparso». Diventa quindi dovere e missione raccontare come gli esuli per cent’anni nei vari luoghi del mondo abbiano favoleggiato del loro paradiso perduto, una «terra di latte e miele», l’Armenia anatolica.
Come abbiamo anticipato, sono tre le storie raccontate idealmente a una ragazza turca di oggi. Per «l’incrociarsi di amare riflessioni sulla situazione attuale delle donne in Turchia», a questa sua immaginaria interlocutrice Antonia Arslan chiede coraggio e audacia per cercare nella sua storia antica le ragioni e la forza per sopravvivere. A lei consegna le vicende biografiche delle tre eroine.
Sono state soprattutto le donne armene e i bambini a sopravvivere e a trasmettere le memorie della deportazione per sterminio (gli uomini erano i primi a essere uccisi). E ancora una volta le donne sono «la tenacia nella diaspora». «Sono queste donne – scrive Arslan – che, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno si scavarono con occhi asciutti e mani operose la loro nuova vita all’interno del nuovo Paese, costruendo il futuro senza dimenticare il passato».
Queste tre storie sono come tre perle di un’altra delle collane di Antonia. Quella di Iskuhi dalle gote di pesca, bisnonna dell’autrice, di cui l’amato nonno Yerwant, sapiente e autoritario patriarca, medico geniale, le raccontò in un vecchio albergo di mezza montagna. Quella di Hannah, l’imprenditrice che fece successo negli Stati Uniti con tenacia, determinazione e doti imprenditoriali. «Vuole prima di tutto farcela, vivere – dice Arslan –. Ha il coraggio di partire da sola dal Libano. Poi in America apre un negozio di alimentari e crea un impero». Quella di Noemi, scoperta grazie ai «cugini ritrovati» in America. Delle tre storie non vogliamo svelare nient’altro, per non togliere al lettore il piacere del libro.