C'è del rosa... in Basilica
Sant’Antonio stesso era un loro strenuo sostenitore. Dall’adultera alla giovane annegata fino alla mamma di Tommasino (il bimbo annegato in un catino d’acqua), per le donne il taumaturgo ebbe sempre un’attenzione particolare. Lo testimoniano i suoi miracoli, ma ancor più la scelta di essere sepolto a Santa Maria Mater Dei, la chiesetta dedicata alla Madonna intorno a cui poi, a partire dal 1232, venne costruita l’attuale Basilica del Santo. Non c’è dunque da stupirsi se oggi il Santuario conserva ancora molte «tracce rosa». Mira proprio a svelarne alcune, in vista della festa della donna, il tour guidato «Sante, colte e coraggiose. Alla scoperta delle figure femminili nella Basilica di Sant’Antonio di Padova», in programma l’8 marzo.
Mogli, madri e figlie, intellettuali, religiose e benefattrici. Tra i marmi e gli affreschi che adornano la Basilica del Santo le donne sono una minoranza. Il loro nome compare in lapidi e iscrizioni, il loro volto si staglia di rado dipinto alle pareti. Sempre e comunque in funzione di un uomo: il nobile marito con cui sono sepolte, il noto padre a cui vengono associate... Eppure dietro a un semplice nome – Lucrezia, Giacoma, Chiara e così via – c’è molto di più. Per scoprirlo diamo inizio al nostro viaggio attraverso le navate della chiesa.
Se è vero che ogni pellegrinaggio che si rispetti inizia con una benedizione, non c’è niente di meglio di una visita alla Madonna Mora per partire col piede giusto. Donna e madre per eccellenza, la Vergine scolpita nel 1396 da Rinaldino di Francia col suo Bambino in braccio accoglie i visitatori laddove un tempo si ergeva la chiesetta Santa Maria Mater Dei e, più tardi, la Cappella della famiglia Negri, soprannominata «oscura», per via dell’allora scarsa illuminazione. Da qui l’epiteto «mora» alla scultura, esposta per secoli al fumo delle candele e infine restaurata nel 2010.
Arretrando di qualche passo, ci troviamo a calpestare una grande lastra iscritta. È la tomba della nobile famiglia Obizzi, dove giace – assieme allo sposo Pio Enea II – Lucrezia Dondi dell’Orologio, moglie devota e virtuosa, sgozzata nel 1654 nella sua camera da letto da Attilio Pavanello, amico del marito che si era invaghito della donna.
Una manciata di passi in direzione dell’uscita principale ed ecco, su una colonna della navata centrale, un’altra testimonianza da analizzare. È la lapide – completa di busto marmoreo – realizzata da Giovanni Bonazza nel 1727, in ricordo di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia. Donna di grande cultura (conosceva il greco, il latino e l’aramaico) e di nobili origini (era figlia di Giovanni Battista Cornaro e nipote dell’omonima regina), fu la prima femmina a laurearsi della storia. Lo fece nel 1678, alla Facoltà di filosofia dell’Università patavina, con due tesi su Aristotele. Dietro le lettere scolpite in Basilica, però, non riposa il corpo della dottoressa, che invece è sepolta nella poco distante chiesa di santa Giustina.
Prossima tappa: la Cappella del Santissimo, dove è tumulata Giacoma Boccarini da Leonessa, vedova del condottiero Erasmo da Narni (il Gattamelata), che nella prima metà del Quattrocento investì tutti i propri averi per erigere in Basilica una cappella sepolcrale per il marito e il figlio Giannantonio. Anche lei finì sotto lo stesso suolo, ma – per sua volontà – non ci sono lapidi a ricordarla. La fama non le interessava. Le bastò essere seppellita sotto a un cielo dipinto che, era convinta, avrebbe alleggerito il peso del marmo.
Un’altra cappella ci attende. È quella dedicata a santa Chiara e dipinta da Lino Dinetto nel 1995 con tre pale che raffigurano altrettanti momenti salienti della vita della clarissa: l’incontro con san Francesco, la contemplazione del Crocifisso e il transito del corpo del poverello. In quella che un tempo era la sacrestia della Cappella di san Giacomo l’esecuzione quasi metallica e la resa essenziale degli elementi naturali restituiscono una santa Chiara di rara intensità e bellezza.
È ora di varcare la Cappella di san Giacomo. L’affresco della Crocifissione che campeggia a tutta parete ci attira come un magnete. Ma il capolavoro di Altichiero da Zevio non è la nostra destinazione. Giusto qualche metro sotto il Crocifisso, c’è una Madonna in trono con Bambino scolpita su marmo che custodisce le spoglie di Bartolomea Scrovegni. Moglie di Marsilio II dei Carrara e sorella di Enrico Scrovegni (il banchiere padovano a cui si deve, agli inizi del Trecento, la costruzione dell’omonima Cappella affrescata da Giotto), la donna fu avvelenata dal marito che puntava a un matrimonio d’interesse con Beatrice da Correggio.
Alziamo gli occhi e giriamo lo sguardo a destra. Sulla parete ecco Caterina de’ Franceschi, moglie di Bonifacio Lupi di Soragna, qui raffigurata in adorazione della Madonna, a fianco della sua protettrice santa Caterina da Siena (anche questo affresco è opera del grande Altichiero da Zevio). Morta nel 1405, la donna costituì un grande esempio di pudicizia e onore. Non a caso è sepolta al Santo, nella Cappella di san Giacomo. Inoltre, una lapide tombale con tanto di monumento in suo ricordo si trova nel corridoio che collega la Basilica al Chiostro della Magnolia, fianco a fianco con la lapide di un’altra donna esemplare: Giustina Barison. Deceduta a soli 38 anni senza figli, questa vedova padovana (suo marito era il nobile Girolamo Da Ponte) lasciò tutti i propri beni in eredità alla Veneranda Arca del Santo e, in segno di riconoscenza, venne sepolta nel Santuario.
Dopo un’ultima tappa in Basilica, nella Cappella dedicata a santa Rosa da Lima (protettrice del Sudamerica e qui affrescata tra l’Europa e l’America, ma anche tra l’allegoria della purezza e della contemplazione), usciamo all’aria aperta per la conclusione del tour. Sul lato nord del Chiostro della Magnolia, sopra un coperchio sepolcrale è sbozzata una maestosa figura femminile dalle braccia incrociate. Si tratta di Bettina Di Giovanni di Andrea, morta nel 1355. Figlia e moglie di due professori di diritto canonico negli atenei di Bologna e Padova, la donna – coltissima – li sostituì più volte nelle lezioni, presentandosi velata o addirittura coperta da una tenda per non turbare gli studenti con la sua bellezza.
Se è vero che dietro ogni uomo c’è sempre una grande donna, non fanno eccezione neppure il conte Guido da Lozzo e la moglie Costanza d’Este, sepolti pochi metri più in là (la loro tomba è tra le più antiche in Basilica, dopo quella del Santo, 1231, e del beato Luca Belludi, 1285). Sotto alla grande lapide rettangolare dell’uomo si staglia più piccola quella della sua sposa, datata 1295. Nell’iscrizione in rima baciata Costanza chiede ai pellegrini di pregare per la sua anima, accorciando così la sua permanenza in Purgatorio.
Anche se il nostro viaggio alla scoperta delle donne in Basilica si ferma qui, molte altre sono le testimonianze che il Santuario può regalarci. Storie di fede, ma anche di umanità attraverso cui leggere il passato e il presente. Perché il Santo non è un semplice luogo sacro, bensì uno scrigno di cultura e vita sociale che offre sempre punti di vista diversi, una miniera da esplorare, un libro da leggere e rileggere.