L’inedita storia degli olandiani
«1001 Italiani» è il nome del progetto multimediale, nato dal bisogno di far conoscere la storia degli italiani d’Olanda, che ha preso il via nel 2010 per celebrare i 50 anni dell’immigrazione italiana dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Era l'immigrazione degli operai delle miniere e delle grandi industrie dei Paesi Bassi. La ricerca ha poi sviluppato un percorso più articolato, giunto a coprire un arco temporale di alcuni secoli. L’iniziativa, curata dalla giornalista e filmmaker Daniela Tasca – nata a Palermo, e arrivata ad Amsterdam nel 1989 –, è stata sostenuta da fondazioni olandesi, come la Mondrian Stichting, in collaborazione con vari enti come l’Archivio Generale di Stato, e con il supporto di alcune istituzioni italiane in Olanda, tra le quali l’Ambasciata d’Italia, che hanno commissionato il libro dal titolo 1001 Italiani. Storia e storie di italiani nei Paesi Bassi, e finanziato la prima mostra collettiva di artisti italiani residenti nel Paese.
La presenza italica in Olanda è accertata almeno fin dal Medioevo: dalla metà del Duecento, troviamo infatti i ricchi banchieri, i cosiddetti «lombardi». «In realtà erano mercanti piemontesi, chieresi, fiorentini, senesi – precisa Tasca –. Poi nel Cinquecento e nel “Secolo d’Oro”, abbiamo anche la presenza di artisti, intellettuali, dissidenti, mercanti e finanzieri. A partire dal Settecento, arrivano i maestri stuccatori dalle valli intorno al lago di Como, i costruttori e venditori di barometri e di stampe antiche, gli spazzacamini piemontesi e ticinesi, e poi i maestri artigiani terrazzieri friulani; e dagli anni Venti del XX secolo i gelatieri cadorini e toscani».
Il volto dell’emigrazione italiana ha iniziato a cambiare dopo la fine della Seconda guerra mondiale con l’arrivo di masse di operai, soprattutto dal Sud. «Avevano già un contratto in tasca – sottolinea Tasca –, e lavoravano per periodi determinati (da qui il termine gastarbeider: lavoratore ospite, temporaneo), dapprima nelle miniere del Limburgo, e poi nelle grandi industrie del Nord e dell’Est del Paese. In generale questi immigrati si sono ben integrati anche grazie ai matrimoni con donne olandesi. Le seconde generazioni dei gastarbeiders non presentano particolari problemi di integrazione rispetto agli olandesi, a differenza, per esempio, degli italiani in Germania». Lo studio di Daniela Tasca ha fatto emergere anche aspetti inediti: «mi hanno colpito alcune figure di antifascisti, attivi in Olanda negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso».
L’emigrazione cambia ancora identità a partire dagli anni Settanta del XX secolo quando le motivazioni sono individuali, culturali, politiche, e solo in parte economiche. Negli anni Novanta con i programmi Erasmus, le migrazioni di studenti universitari portano all’arrivo di talenti. «Oggi – rileva Tasca – gli italici sono, da una parte, creativi, intellettuali, artisti, startuppers, laureati, ricercatori, espatriati che trovano qui il loro posto o la base da cui lavorare – un luogo in cui prevale la meritocrazia –; dall’altra sono i nuovi gastarbeiders con un livello di istruzione medio-basso, in fuga dall’Italia alla disperata ricerca di un lavoro decente. Spesso, però, sono vittime di sfruttamento (anche da parte degli stessi connazionali), di lavoro nero e sottoccupazione; di situazioni abitative precarie e di un grande senso di inadeguatezza e isolamento».
Resta un fatto che agli italiani dell’Olanda piace la meritocrazia, la possibilità di essere apprezzati per quello che sono e non per le conoscenze che hanno. E, in generale, sono felici di essere parte di una società «civile» in cui vivere e non, più semplicemente, sopravvivere. Un affetto peraltro ricambiato dagli olandesi che dell’Italia amano praticamente tutto, in particolare il clima, il cibo e la ricchezza delle culture regionali. Ora l’ambizione di Daniela Tasca è quella di realizzare un database delle memorie italiane in Olanda, una sorta di monumento online alla nostra emigrazione, alla nostra presenza e alla storia degli «olandiani».