Matera, viaggio nella città-ragnatela
C’è una panchina all’angolo tra la chiesa di San Francesco e la piazza del Sedile, uno dei cuori dell’antica Matera. Su quella panchina, ogni giorno siede Mariangela, 40 anni: da qui può dare un occhio al suo piccolissimo, raffinato negozio di oggetti di design. E, allo stesso tempo, può guardare da vicino il passaggio quotidiano di centinaia e centinaia di turisti. «Mi appaiono felici e sorpresi dalla bellezza della mia città», mi confessa.
Matera sta vivendo la sua terza metamorfosi in settant’anni. Ricordate? Tutto è cominciato con Cristo si è fermato a Eboli, scritto da Carlo Levi e pubblicato nel 1945. Lo scrittore piemontese, confinato dal fascismo in Lucania, inchiodò Matera alla sua decadenza: la descrisse come «l’inferno di Dante». Matera divenne una «vergogna nazionale».
Gli abitanti della Città Antica furono sfollati dalle vecchie case malsane. I Sassi, per vent’anni e più, furono un deserto. La risurrezione è stata lenta e ostinata. Nel 1993, l’Unesco si accorse del prodigio: Matera è proclamata Patrimonio mondiale dell’umanità.
Poco più di vent’anni dopo, nel 2014, la città vince la candidatura a capitale europea della cultura. Un trionfo. Gioioso e meritato. Questo 2019 è l’anno dell’apoteosi. Carlo Levi oggi rimarrebbe disorientato: sfavillio di insegne, notti infinite, ondate di turisti, ristoranti e alberghi di charme costruiti nei luoghi della miseria. Vi è chi spende mille euro a notte per dormire nelle stanze che furono abitazioni di contadini poverissimi e stalle di animali.
Nel 1964, Pier Paolo Pasolini trasformò i Sassi in Gerusalemme per regalarci il suo Vangelo secondo Matteo; oggi, 2019, James Bond viene a Matera per vivere la sua 25ª avventura cinematografica. Cambiano i tempi. Campagne pubblicitarie potenti hanno messo Matera su un palcoscenico mondiale.
È diventata un «marchio». Tutti sono voluti venire qui quest’anno: l’allegria festosa del Pride e l’orgoglio piumato dei Bersaglieri, la severità ombrosa delle Confraternite e l’atletismo aereo dei Pompieri. A migliaia hanno scosso, nei loro raduni nazionali, le pietre dei Sassi.
Matera 2019, anno della cultura, è una storia grandiosa: 52 milioni di euro di bilancio, grandi mostre, centinaia di eventi, produzioni ambiziose. A metà anno già in centomila avevano assistito a spettacoli e visitato mostre. La città è entrata, da stella lucente, nel circuito turistico internazionale. Rispetto a sette anni prima, i turisti, nel 2018, erano già aumentati del 176 per cento.
Dati ufficiali (sottodimensionati, questa è la sensazione) rivelano che, nel 2018, i turisti hanno passato a Matera quasi 600 mila notti, saranno 700 mila a fine 2019. Nascono, in ogni strada e vicolo, bed & breakfast e case-vacanza: ufficialmente sono 608 le strutture extralberghiere, ma sono probabilmente di più. Nessun campeggio, un solo ostello. Io sono un fiorentino trapiantato a Matera: ho sempre avuto l’impressione che, molti decenni fa, il turismo mi abbia cacciato dal centro di Firenze.
«A Matera, invece, i turisti hanno occupato uno spazio vuoto – mi racconta Francesco Foschino, 40 anni, operatore turistico e editore della rivista “Mathera” –. I materani non scendevano più nei Sassi. Certo, oggi i ragazzi non possono più giocare a pallone a San Pietro Caveoso come facevamo noi. Si andava nei Sassi a baciarsi o a nascondersi, ma non vi abitava quasi nessuno».
Antonio Sacco, 51 anni, è un libraio. La sua libreria, alla vigilia del 2019, venne sfrattata dal Corso della città. Divamparono polemiche. «Attenzione – mi spiega – non fu cacciata via la cultura, ma un’attività commerciale». Gli affitti rincarati non erano più sostenibili. Antonio non si è poi spostato di molto, ma certo i suoi libri sono più defilati.
«Il 2019 ha acceso riflettori potenti – mi dice Antonio – oggi c’è lavoro a Matera. I ragazzi non sono più costretti ad andarsene. Per la prima volta, io ho due dipendenti. Sono felice? Questa non è più la mia città: uscivo dal lavoro e andavo a bermi una birra e a chiacchierare con l’oste. Non è più possibile. Non ci sono più tavoli liberi».
Matera è stata spogliata della sua pigrizia «priva di colpe», come mi disse molti anni fa Mipa, un altro libraio sfrattato. Benvenuti nella modernità, dunque: la Città Antica non è più territorio di felici perditempo. E le periferie, un’altra città, appena oltre i confini dei Sassi, sono un altro universo. A Spine Bianche o a Serra Rifusa, i turisti non vanno.
Vado, allora, a trovare Peppino Mitarotonda, 80 anni, grande ceramista. «Sono deluso – mi avverte –. Il 2019 non ha avuto memoria. Si è dimenticato della cultura antica di questa città. Io sono contento dello sbalordimento dei turisti, ma perché non aver avuto attenzione alla nostra storia?».
Peppino non è un uomo malinconico, è vivace, attento, allegro: «Il 2019 è come una crociera: c’è un buffet continuo, eccessivo, tutto è prelibato, ma ti scopri senza appetito». Per controvoce, ho bisogno delle parole dei ragazzi. Peppe e Gaia hanno 18 anni. Hanno finito le scuole. Mentre leggete questo articolo hanno già lasciato la Città Antica. Sono già altrove. A Torino, a Milano. A studiare. «Il 2019 non ha avuto attenzione ai ragazzi – dice Peppe –. Hanno aperto bar e ristoranti, ma nessuno, mi pare, ha pensato a investire nell’università».
«Sono d’accordo – aggiunge Gaia –, si sono dimenticati di noi. Hanno voluto grandi eventi, ma non si sono accorti che qui non ci sono luoghi di ritrovo per noi, non hanno immaginato un futuro per chi vorrebbe rimanere qui». «Ce ne andremo – dicono ancora i due ragazzi –. Sappiamo che Matera ci mancherà. Ma se vogliamo crescere, dobbiamo partire».
Alla fine di questo strano viaggio nel 2019 materano, voglio andare su una frontiera. Lì vive, prega, lavora, ascolta, don Angelo Tataranni, 59 anni, parroco di San Rocco, chiesa appena fuori dai Sassi. La casa di don Angelo è un rifugio. Vi accoglie migranti e materani senza dimora. «Non vorrei che il successo di Matera ricadesse solo su chi ha già molto – mi dice –. Non vorrei che fossimo accecati dalle luci e ci dimenticassimo gli scantinati più bui. Vero, oggi c’è lavoro, ma cultura è anche un salario dignitoso e orari umani».
Italo Calvino, forse, è davvero passato da Matera: nella sua geografia fantastica la chiamò Ottavia, città-ragnatela sospesa sull’abisso. I suoi abitanti erano saggi, attenti alla resistenza di quella rete che li sosteneva, che impediva alle loro case di sfracellarsi nel precipizio. Sapevano che «più di tanto non regge». In ogni caso, credetemi, il 2019, a Matera, è un anno bello.
Matera propone un ricco cartellone di inziative. Tra queste "La poetica dei numeri primi", una delle esposizioni più interessanti del calendario Matera 2019. Il percorso, articolato in cinque mostre (fino al 30 novembre al Parco archeologico di Metaponto), è curato dal matematico Piergiorgio Odifreddi. Tutti i dettagli nel numero di ottobre 2019 del «Messaggero di sant’Antonio» e nella corrispondente versione digitale!