2019, un racconto per Matera
Metamorfosi di una città. A Matera mi regalo un aggettivo che cerco di non scrivere mai: «Matera è unica». Lo accetto solo per un’altra città, Venezia. Sono così diverse fra di loro. Nessun’altra al mondo può assomigliarle. Credo che sia questa diversità ad avermi portato qui.
Adesso, con il gioco della cabala dei numeri e del calendario, duemila e diciannove musicisti (giuro, voglio contarli) provenienti dai paesi della regione e dalle città dell’Europa suoneranno per le piazze, i gradini, i labirinti dei Sassi di Matera: 19 gennaio, cerimonia di apertura dell’anno in cui la città sarà capitale europea della Cultura. Giorni grandi per il Sud d’Italia.
Metamorfosi di una città. Vi racconteranno del suo spopolamento: negli anni ’40, nei Sassi di Matera vivevano 15mila persone. Vivevano in grotte e case umide. Era «la vergogna nazionale», ripetono di continuo ai turisti che si affacciano al balcone del Sasso Caveoso. Tra il 1952 e il 1967, qui, avvenne l’ultimo grande esodo urbano d’Europa. Gli abitanti dovettero lasciare la città di tufo.
Metamorfosi di una città. Figli della miseria o figli di un grande passato? Qualcuno cominciò a reagire, a scendere nuovamente nei Sassi, qualcuno venne ad abitarci, a metà degli anni ’70 venne perfino occupato un intero, piccolo quartiere. La città antica, con lentezza, risorse. Figli di una grande storia: nel 1993, Matera divenne «patrimonio mondiale dell’umanità».
Metamorfosi di una città. Dieci anni fa scrissi il mio primo racconto attorno a (per?) Matera. Per una settimana incontrai scultori, cartapestai, ceramisti, musicisti, pittori, orafi, fotografi, nuovi contadini, giovani cuochi, organizzatori di concorsi letterari, nerd informatici. Certo, avevo scelto solo una parte della città. Che mi lasciò stordito.
Ottobre 2014, ultima metamorfosi, la terza in poco più di mezzo secolo. Matera venne, allora, proclamata capitale europea della Cultura. Questi anni sono stati un cammino accidentato e faticoso. In molti hanno lavorato duramente. Ora ci siamo. Aspetto con felicità i prossimi mesi. E guardo ancora i numeri: duemila eventi in quarantotto settimane, migliaia di artisti, ottanta progetti. E su booking, scrivono i giornali, c’è un elenco di settecento Bed & Breakfast. I ristoranti sono trecento novantacinque. Destino delle città alle prese con turismo a ondate. Io sono cresciuto a Firenze…
Mentre la Festa comincia io lascio su un muretto una vecchia foto (del 2008) e un ricordo. Scesi nei Sassi per intervistare Franco Palumbo, un uomo che sapeva di essere figlio di una grande storia. Franco mi precedeva, avrà visto il panorama del Sasso Barisano milioni di volte, ma si fermò di colpo, come stupito. Portò le mani dietro la schiena e guardò con attenzione e amore. Sì, amore. La sua città continuava a sorprenderlo. La mia macchina fotografica scattò da sola la foto di quell’istante. Nelle spalle di Franco, io vedevo davvero lo stupore.
Un’altra volta, nei quartieri lontani dai Sassi, ci trovammo a gridare, per un gioco, verso una finestra alla quale era affacciata una donna: «Signora, signora, ci inviterebbe a pranzo?». Accadde davvero. Dove altro avrebbero accettato di preparare orecchiette con i peperoni cruschi per quattro sconosciuti? No, questo può accadere soltanto dove l’anima di una comunità è ben viva.
Metamorfosi di una città. Sapete come finiva il mio primo racconto per Matera? Con Italo Calvino e le sue «città invisibili». Gioco facile per un giornalista: la città-ragnatela, così simile a Matera, si chiamava Ottavia. I suoi abitanti «sospesi sull’abisso» sapevano bene «che più di tanto la rete non regge».
Che la festa cominci.