25 Agosto 2020

Maurizio Raeli. Un mare da ripulire

Cinque aree pilota e una rete di collaborazioni tra Italia, Tunisia e Libano. Con il progetto COMMON, il CIHEAM di Bari sviluppa, per i Paesi del Mediterraneo, un modello di monitoraggio e riduzione dei rifiuti.
Un mare da ripulire

© Magnus Larsson / Getty Images

«Ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare. Il Mediterraneo rappresenta solo l’1 per cento delle acque globali. Eppure le ricerche evidenziano che nelle sue acque si concentra il 7 per cento (pari a 570 mila tonnellate) della microplastica globale». A lanciare un nuovo allarme è Maurizio Raeli, direttore del CIHEAM di Bari. Il dato è molto preoccupante se si tiene conto dell’effetto accumulo che, nel tempo, porta alla formazione di enormi concentrazioni: le cosiddette «isole di plastica».

Il CIHEAM di Bari è nato nel 1962, ed è uno dei quattro organi del Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes, organismo intergovernativo, con sede a Parigi, al quale aderiscono tredici Paesi mediterranei: Albania, Algeria, Egitto, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Libano, Malta, Marocco, Portogallo, Tunisia e Turchia. Le principali aree tematiche nelle quali il CIHEAM opera, sono la gestione del suolo e delle risorse idriche, la protezione integrata delle colture ortofrutticole, l’agricoltura biologica mediterranea, l’agricoltura sostenibile, e lo sviluppo rurale e alimentare.

Msa. Dottor Raeli, che conseguenze comporta l’inquinamento da plastica per l’ambiente, la fauna, per l’uomo, ma anche per il turismo?
Raeli. Le «isole di plastica» rappresentano appena il 30 per cento dei materiali plastici presenti in mare. Il restante 70 per cento, posandosi sui fondali, tende a soffocare gli habitat e ad incrinare i delicati equilibri ecologici degli ecosistemi marini. I rifiuti, oltre ad essere pericolosi per gli organismi acquatici, non scompaiono; si frammentano trasformandosi in microplastiche che entrano nella catena alimentare, fino a giungere nei nostri piatti. Il problema dei rifiuti in mare non provoca danni solo alla biodiversità e all’ecosistema, ma ha ripercussioni anche sulle attività produttive come pesca e turismo. La minore qualità delle acque di balneazione, ad esempio, così come l’aggravio dei costi legati alla pulizia delle spiagge, sono solo alcuni dei problemi che il settore turistico è costretto a fronteggiare.

L’inquinamento del Mediterraneo coinvolge tutti i Paesi che vi sono affacciati. Quali iniziative di tutela sta portando avanti l’Italia, e con quali partnership?
È necessaria una strategia condivisa da ciascun Paese mediterraneo. L’inquinamento causato dalle plastiche è certamente un problema globale: ogni Paese ne è, allo stesso tempo, fautore e vittima. L’Europa può svolgere un ruolo importante, ed essere una guida per l’intero Bacino del Mediterraneo, accelerando il processo di risanamento. Il CIHEAM di Bari, attraverso i suoi tre strumenti istituzionali: formazione, ricerca e cooperazione allo sviluppo, sta collaborando e implementando progetti in partenariato con diverse istituzioni scientifiche mediterranee. Le cito, ad esempio, il Progetto COMMON (COastal Management and MOnitoring Network for tackling marine litter in Mediterranean sea). Finanziato nell’ambito del programma ENI CBC MED con 2,2 milioni di euro, il progetto vede coinvolti Legambiente, l’Università di Siena, l’Istituto Nazionale di Scienze e Tecnologie del Mare di Tunisi, il CIHEAM di Bari, l’Ong libanese Amwaj of the Environment, l’Università di Sousse e la Riserva naturale di Tyre in Libano.

Quali sono i vostri obiettivi?
L’obiettivo principale è la riduzione dei rifiuti in mare utilizzando i principi della Gestione Integrata delle Zone Costiere (ICZM) in cinque aree pilota, pianificando l’uso e il monitoraggio delle risorse, e utilizzando un approccio partecipativo efficace, che coinvolga le parti interessate e le comunità locali, con l’ambizione di testare un modello potenzialmente trasferibile a tutto il Bacino del Mediterraneo. COMMON punta a costruire una rete di collaborazioni fra Italia, Tunisia e Libano per favorire la riduzione dei rifiuti marini, per la condivisione di protocolli comuni di monitoraggio della plastica in mare e per il suo campionamento sul biota, cioè sugli organismi viventi, a partire da alcune specie ittiche di interesse commerciale e dalla tartaruga Caretta caretta che, per la sua diffusa distribuzione nel Mediterraneo e la sua propensione a ingerire rifiuti marini, è un bio-indicatore che può fornire dati sullo stato di salute dei nostri mari. 

Che ruolo ha il CIHEAM nella tutela del Mare Mediterraneo e nell’ambito di COMMON?
Il CIHEAM di Bari ha individuato, come area pilota italiana, il tratto di costa che comprende le municipalità di Tricase, Andrano, Diso e Castro, in provincia di Lecce. In quest’area il CIHEAM svolgerà le attività previste dal progetto COMMON: monitoraggio, campionamento ed elaborazione partecipata dei piani locali. Ciò consentirà di avere una maggiore cognizione del fenomeno nell’area del basso Adriatico. In quest’area, peraltro, il CIHEAM di Bari è da tempo presente grazie alla sua nuova sede di Tricase (www.portomuseotricase.org/it/lavamposto-mare), ed è impegnato in numerose iniziative di ricerca e cooperazione territoriale e transfrontaliera, avvalendosi della proficua collaborazione dell’Università del Salento che dispone, nella nostra sede, di un attrezzato laboratorio di biologia marina. Queste attività aiutano a definire un modello di sviluppo sostenibile delle comunità costiere, trasferibile a tutto il Bacino del Mediterraneo.
 

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Data di aggiornamento: 25 Agosto 2020
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