In memoria di Aldo Moro, testimone
«Caro direttore, in questi mesi si ricordano i quarant’anni del tragico rapimento del cattolico professor Aldo Moro, dell’uccisione dei cinque uomini di scorta, dei cinquantacinque giorni di prigionia, del tragico epilogo, con il ritrovamento del corpo senza vita dello statista in via Caetani, in pieno centro di Roma, il 9 maggio 1978. Secondo il suo pensiero, Aldo Moro non potrebbe essere annoverato tra i martiri cattolici del XX secolo? Segnalo soltanto, pur essendo molto noto alla stampa e alle Autorità ecclesiastiche, che Moro partecipava ogni giorno alla Santa Messa del mattino, nella sua parrocchia, amando la famiglia e il prossimo tutto».
Antonio Iadicicco (ex allievo universitario del professor Aldo Moro – Università di Roma 1964-1968)
Gentile lettore, grazie per la sua missiva, giunta proprio a ridosso dell’anniversario di una delle pagine più buie della nostra storia. Come accade solo per rari eventi – l’attentato a Falcone e a Borsellino o l’11 settembre… –, tutti ricordiamo con precisione che cosa stavamo facendo al momento di ricevere la notizia del rapimento dello statista pugliese e dell’uccisione della scorta, di cui voglio scrivere i nomi qui di seguito, perché non siano, come provocatoriamente ha titolato il «Corriere della sera» del 16 marzo, vittime di terza classe. Sono i carabinieri Oreste Leonardi e Domenico Ricci, i poliziotti Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi e Giulio Rivera. Nemmeno due mesi dopo, ed ecco la crudezza di quel cofano della Renault 4 aperto in via Caetani a imprimersi nella retina: ma siamo in grado di andare oltre? Perché ricordare Moro solo per quanto le Brigate Rosse gli riservarono è ucciderlo un’altra volta.
Non basta l’emozione titolava il suo editoriale fra Francesco Saverio Pancheri sul «Messaggero di sant’Antonio» di quarant’anni fa. «La tragica fine di Aldo Moro deve costituire per tutti un rinnovato impegno civile; come avvenne per lui, l’ispirazione che ci viene dalla fede cristiana è molla e incentivo profondo anche nell’ambito civile» scriveva il mio predecessore, dedicandogli la copertina di giugno – sì proprio quella del mese più antoniano!
Ora, Aldo Moro fu «martire»? Le dico in tutta onestà che personalmente non lo credo. Ciò non significa che non possa essere riconosciuto beato dalla Chiesa ma, per quanto è dato di capire, la sua uccisione non fu in odium fidei, in odio alla fede. Furono altre le dinamiche in atto. Ma martire, in greco, significa anche «testimone». E in questo direi che proprio ci siamo. Come lei sottolinea, Moro fu un vero cristiano. Non a caso, la Chiesa lo indica già ai fedeli come «servo di Dio».
Il beato Paolo VI ce lo disse fin dal giorno successivo all’eccidio: Moro «era uomo buono e savio, incapace di fare male ad alcuno; professore molto bravo e uomo di politica e di governo, persona di grande valore, padre di famiglia esemplare, e ciò che più conta era un uomo di ottimi sentimenti religiosi, sociali ed umani».
Concludo con una suggestione che mi viene sfogliando all’indietro l’agenda di papa Francesco fino al 21 marzo 2014 quando, ospite della parrocchia francescana di San Gregorio VII a Roma, presenziò a un incontro promosso dall’associazione «Libera». In quell’occasione vennero letti – e il Papa ascoltò in silenzio – 842 nomi di uomini, donne e bambini (ben 82) vittime della mafia. Poi Francesco prese la parola, condividendo la speranza «che il senso di responsabilità piano piano vinca sulla corruzione, in ogni parte del mondo. E questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare, risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi, e prenda il posto dell’inequità».
Può diventare il nostro impegno anche facendo memoria di Aldo Moro, servo di Dio, vittima dell’odio.