Migranti, popoli in cammino

«Dio cammina con il suo popolo» è il tema scelto da papa Francesco per la 110ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra oggi, domenica 29 settembre. L'esperienza di Ibrahima Lo, giunto in Italia a 17 anni nel 2017.
29 Settembre 2024 | di

«Dio cammina con il suo popolo» è il tema scelto da papa Francesco per la 110ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra oggi, domenica 29 settembre. Nel Messaggio diffuso in occasione della giornata, il Pontefice ha richiamato una doppia immagine: quella dell’Esodo del popolo di Israele verso la terra promessa – e che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore – e quella dei migranti del nostro tempo, «immagine viva del popolo di Dio in cammino verso la patria eterna», i quali «ci ricordano che “la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20)».

«Come il popolo d’Israele al tempo di Mosè – ha sottolineato infatti papa Francesco –, i migranti spesso fuggono da situazioni di oppressione e sopruso, di insicurezza e discriminazione, di mancanza di prospettive di sviluppo. Come gli ebrei nel deserto, i migranti trovano molti ostacoli nel loro cammino: sono provati dalla sete e dalla fame; sono sfiniti dalle fatiche e dalle malattie; sono tentati dalla disperazione». Ed esattamente com’è successo al popolo di Israele, che nel suo Esodo ha visto concretamente la presenza di Dio, anche oggi «molti migranti fanno esperienza del Dio compagno di viaggio, guida e ancora di salvezza. A Lui si affidano prima di partire e a Lui ricorrono nelle situazioni di bisogno. In Lui cercano consolazione nei momenti di sconforto. Grazie a Lui, ci sono buoni samaritani lungo la via. A Lui, nella preghiera, confidano le loro speranze». Perché «Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati –, come prolungando il mistero dell’Incarnazione».

Per questo, ha concluso il Papa, «l’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel bisogno, “è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito”. […] Allora ogni incontro, lungo il cammino, rappresenta un’occasione per incontrare il Signore; ed è un’occasione carica di salvezza, perché nella sorella o nel fratello bisognoso del nostro aiuto è presente Gesù. In questo senso, i poveri ci salvano, perché ci permettono di incontrare il volto del Signore».

Ibrahima Lo, una storia di migrazione

Lo sappiamo bene. Sono troppi i cosiddetti «viaggi della speranza» che si trasformano in tragedie nelle quali perdono la vita migliaia di migranti ogni anno. Solo da gennaio a metà luglio 2024, sono morti nel Mediterraneo 1.320 migranti, 1.026 dei quali nella tratta del Mediterraneo centrale, quella cioè che porta in Italia. Più di 50 di questi erano bambini. (dati:  Missing Migrants)

Ibrahima Lo è un giovane senegalese che quel tratto di mare lo ha percorso 7 anni fa, nel 2017, ad appena 17 anni. È lui stesso a raccontare la sua storia in due libri: Pane e Acqua. Dal Senegal all’Italia passando per la Libia (Villaggio Maori Edizioni, 2020), che ha ispirato a Matteo Garrone il suo film Io capitano, e La mia voce. Dalle rive dell’Africa alle strade d’Europa (Villaggio Maori Edizioni, 2024). Partito dal Senegal ad appena 16 anni, dopo essere rimasto orfano sia di madre che di padre, ha attraversato il deserto del Sahara, dove ha rischiato di morire di sete; è stato rinchiuso nelle carceri libiche, nelle quali è stato brutalmente picchiato e ha assistito all’uccisione di alcuni dei suoi compagni di viaggio; si è imbarcato con altri 120 persone, in un gommone fatiscente colato a picco poco dopo la partenza, e si è salvato solo per l’intervento della nave di una Ong che presidia il Mediterraneo, ma ha visto scomparire tra i flutti molte delle persone imbarcate con lui, bambini, donne e uomini.

Giunto in Italia, Ibrahima è andato prima in un centro per minori non accompagnati a Bari, poi nel bellunese e infine è arrivato a Venezia, dove ancora oggi vive. Ma anche in Italia il suo percorso non è stato facile: voleva studiare per diventare giornalista («non per intervistare i ricchi, ma per dare voce ai deboli» dice), ma ha potuto farlo solo il primo anno. Non appena raggiunta la maggiore età, infatti, è scattato per lui l’obbligo di lavorare per avere i documenti di soggiorno e poter restare così nel nostro Paese,. Ha trovato inizialmente lavori molto pesanti («facevo il lavapiatti per 10-11 ore al giorno per 300 euro al mese» racconta) che non gli permettevano di studiare, poi, grazie all’aiuto di alcune persone e associazioni, che lo hanno ospitato e gli hanno garantito un lavoro meglio retribuito e soprattutto dai ritmi più «umani», è riuscito e prendere il diploma di terza media (in Senegal aveva dovuto abbandonare gli studi perché non aveva le possibilità economiche per proseguirli) e ad iscriversi alle superiori (l’istituto alberghiero Barbarigo).

«Era il 31 dicembre 2017 il giorno in cui la mia vita è cambiata – racconta Ibrahima in La mia voce –, il giorno in cui sono partito per raggiungere l’Occidente. Avevo con me un piccolo zaino e una grande curiosità di scoprire cosa mi riservasse il futuro; avevo sognato l’Europa a occhi aperti tantissime volte,ma non sapevo cosa aspettarmi». Ecco, sta proprio tutta lì, in quella parola «sognato», la forza che ancora oggi muove la determinazione delle tantissime persone che rischiano ogni giorno la vita alla ricerca di un futuro migliore. Perché, da sempre, i sogni muovono il mondo e fanno progredire l’umanità. E allora perché mai i nostri ragazzi, i nostri figli, dovrebbero aver diritto di coltivare i loro sogni e un giovane africano no?

Ibrahima Lo ha risposto ad alcune nostre domande.

 

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Data di aggiornamento: 29 Settembre 2024

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