Alla democrazia serve un surplus di speranza

È stato questo il monito che il Papa ha lanciato stamattina ai quasi mille delegati alla Settimana sociale di Trieste, perché solo la speranza consente di «essere artigiani della democrazia e testimoni coraggiosi di partecipazione».
07 Luglio 2024 | di

È atterrato stamattina, in elicottero, attorno alle 7.45 al Molo 4 del porto di Trieste. Papa Francesco è oggi in visita pastorale nel capoluogo giuliano per incontrare i delegati alla Settimana che si chiude oggi e l’intera città, nella Messa in piazza dell’Unità d’Italia, alle 10. Una piazza gremita di fedeli sin dalle primissime ore del mattino.

Erano da poco passate le 8 quando il Pontefice ha fatto il suo ingresso nella sala del Centro congressi che ha ospitato in questi giorni i lavori della Settimana sociale, abbracciato dall’affetto palpabile dei quasi mille delegati.  Dopo i saluti del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, e di monsignor Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato scientifico-organizzatore della Settimana, Francesco ha pronunciato il suo discorso. Parole chiare e nette, un invito ai laici cattolici a essere presenti nella vita civile del Paese portando quei valori cari al cristianesimo, che rappresentano anche una solida base per una politica, alta forma di carità, che persegua il bene comune con una particolare attenzione alle fasce più deboli e fragili della popolazione. Lo disse anche l’episcopato italiano quando, nel 1988, ripristinando le Settimane sociali, ne ribadì in modo chiaro le finalità: «Dare senso all’impegno di tutti per la trasformazione della società; dare attenzione alla gente che resta fuori o ai margini dei processi e dei meccanismi economici vincenti; dare spazio alla solidarietà sociale, allo sviluppo del Paese, inteso (…) come globale miglioramento della qualità della vita, della convivenza collettiva, della partecipazione democratica, dell’autentica libertà».

«La storia delle “Settimane” – ha esordito il Pontefice –, si intreccia con la storia dell’Italia, e questo dice già molto di una Chiesa sensibile alle trasformazioni della società e protesa a contribuire al bene comune». Ed è forte di questa esperienza che la Settimana triestina ha voluto approfondire un tema di grande attualità come quello della democrazia. Una democrazia che non gode di buona salute oggi, ha proseguito il Papa e «questo ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo e niente di ciò che è umano può esserci estraneo». Una crisi che non riguarda solo l’Italia, ma è trasversale a diverse nazioni e realtà. Così come è trasversale a tutti i cristiani la chiamata alla responsabilità «nei confronti delle trasformazioni sociali».

«C’è un’immagine – ha proseguito Francesco – che riassume tutto ciò e che voi avete scelto come simbolo di questa Settimana: il cuore». Ed è a partire da questa immagine che il Papa ha proposto due riflessioni ai presenti. Nella prima, «possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito. Ciò che limita la partecipazione è sotto ai nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale (e l’autoreferenzialità è una brutta malattia!), incapace di ascolto e di servizio alle persone». Francesco ha poi citato Aldo Moro, che a riguardo ricordava che «uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità». 

«La parola stessa “democrazia” – ha insistito il Papa – non coincide semplicemente con il voto del popolo, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche», per questo è importante «far emergere l’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo, nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società, promuovendo un dialogo fecondo con la comunità civile e con le istituzioni politiche, perché, illuminandoci a vicenda e liberi dalle scorie dell’ideologia, possiamo riflettere insieme soprattutto sui temi legati alla vita umana e alla dignità della persona». Per tale motivo, ha raccomandato il Papa, non si possono dimenticare quei valori di solidarietà e di sussidiarietà, che favoriscono i legami sociali, i quali maturano solo quando tutti sono valorizzati. «La democrazia richiede sempre che si passi dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogo», un dialogo capace di coinvolgere tutti, perché «tutti devono sentirsi parte di un progetto di comunità; nessuno deve sentirsi inutile. Certe forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone sono ipocrisia sociale, l’assistenzialismo è nemico della persona e nemico dell’amore al prossimo». 

La seconda riflessione il Pontefice l’ha dedicata alla partecipazione, «è un incoraggiamento a partecipare, affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato. E nella vita sociale è tanto necessario risanare o cuori… Per questo dobbiamo esercitare la creatività. Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità e persino nei campi dell’economia, della tecnologia, della politica, della società. Basti pensare a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. E tutte queste cose non entrano nella politica senza partecipazione. È grazie alla partecipazione che ci si prende cura di tutto».

Bisogna riscoprire il valore di sentirsi popolo, anche se ci vuole coraggio per pensarsi come popolo e non come «io, i miei amici, la mia gente», ha chiosato Francesco, popolo che non è populismo, perché «è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non lo percepiamo come «un sogno collettivo. Una democrazia dal cuore risanato continua a coltivare sogni per il futuro, mette in gioco, chiama al coinvolgimento personale e comunitario».Bisogna appassionarsi al bene comune, ha raccomandato il Pontefice, senza lasciarsi ingannare da facili soluzioni e senza voler manipolare la parola democrazia, riempiendola di contenuti vuoti per giustificare qualsiasi azione: «La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e dell’ecologia integrale».  Come cattolici, dunque, ha ribadito il successore di Pietro, dobbiamo pertanto «avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Questo è l’amore politico che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. È una forma di carità che permette alla politica di essere all’altezza delle sue responsabilità e di uscire dalle polarizzazioni che immiseriscono e non aiutano a capire e affrontare le sfide». Ed a questa carità politica che sono chiamati i cristiani: «Formiamoci a questo amore per metterlo in circolo in un mondo che è a corto di passione civile», e diventare in questo modo «lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte, perché ogni buon politico è come un buon pastore: a volte sta davanti al popolo per indicare il cammino, a volte sta in mezzo per sentire l’odore del popolo, a volte dietro, per sostenere i ritardatari, chi non cela fa. Un politico che non ha l’odore del popolo non è un politico» ha ammonito, ricordando anche che «a volte pensiamo che il “lavoro politico” consista nel “prendere spazi” e invece è dedicare tempo, avviare processi. È la legge della vita: una donna che mette al mondo un figlio avvia processi e noi dobbiamo fare altrettanto». 

Il laicato cattolico ha concluso papa Francesco ha in definitiva il compito di «organizzare la speranza, perché senza speranza si diventa equilibristi del presente e non costruttori del futuro». Solo la speranza consente di «essere artigiani della democrazia e testimoni coraggiosi di partecipazione».

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Data di aggiornamento: 08 Luglio 2024
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