Ogni età è un capolavoro
Più di due milioni e trecentomila in tutto il mondo. Sono gli anziani, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni, morti a causa del covid-19. Tra i Paesi più colpiti c'è l’Italia, con un numero di decessi tra la popolazione over 75 più alto rispetto alla media europea: 3,1 per cento contro il 2,4.
La pandemia ha cancellato un’intera generazione di testimoni, di custodi della memoria, di saggi, di sopravvissuti della Seconda guerra mondiale, di protagonisti della ricostruzione e del boom economico. Sono i nostri genitori, i nostri nonni, i raccontastorie per i nipoti, il nostro passato ma anche il presente e il tempo che verrà.
Fragilità e accettazione
«Dottore, la prego, non tolga il respiratore a un anziano che ce la può fare». Luisa Cortesi è un’antropologa ambientale, lavora all’Università di Cornell ed è nata a Bergamo. Qualche mese fa, dopo aver visto sfilare i camion militari con le bare dei tanti concittadini, per lo più anziani, stroncati dal covid-19, ha scritto una lettera al sindaco della sua città. Inizia con l’appello che più di qualche medico si è sentito ripetere nelle terapie intensive degli ospedali ormai senza più posti letto e con ventilatori polmonari insufficienti.
«Dal punto di vista medico è certamente più complesso salvare la vita a persone anziane. La mancanza di risorse, principalmente di respiratori, ha gravato i medici dell’atroce responsabilità di dare priorità ai pazienti con più possibilità di sopravvivere – afferma Cortesi –. Nonostante la piena consapevolezza che queste scelte dolorose fossero tanto necessarie quanto tormentate, per gli antropologi rimangono validi questi interrogativi: quali sono i valori culturali che intervengono in tali decisioni? Si prenderebbero decisioni simili in società che valorizzano gli anziani come i principali depositari di conoscenza, saggezza, identità culturale e storia? Questi criteri sono uguali per tutti o ci sono persone che sono in grado di ottenere un trattamento preferenziale, facendo leva sul loro potere politico o economico? Tra dolore e senso di colpa, ci chiediamo come non perderne almeno il significato».
L’antropologa prosegue rilanciando una riflessione sulla ricchezza dei nostri vecchi, sul patrimonio universale che essi rappresentano per qualsiasi società. «Un anziano è una nipote che ha bisogno di lui per crescere saggia – scrive –. È il nostro vocabolario, il registro del nostro paese, la sorgente del ruscello che corre fino alle nostre piazze e poi ancora fino alle nostre campagne. Un’anziana è un nipote che ha bisogno di lei per crescere forte nello spirito. È la nostra scuola, la minestra che scalda l’animo, la promessa che il tempo non porta solo fragilità ma anche la sua accettazione».
«La vecchiaia: il nostro futuro»
Del presente e del futuro della popolazione anziana parla con chiarezza La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia, il documento della Pontificia Accademia per la vita (Pav) pubblicato con il Dicastero per lo sviluppo umano integrale. Parole che puntano agli insegnamenti da trarre dalla tragedia del covid-19, alle conseguenze per l’oggi e per il prossimo futuro delle nostre società. Riflessioni già avviate con le Note del 30 marzo 2020, Pandemia e fraternità universale e Humana communitas nell’era della pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita (22 luglio 2020), approfondite in Vaccino per tutti: 20 punti per un mondo più giusto e sano del 28 dicembre scorso, documento preparato insieme con lo stesso Dicastero. Nei documenti si cerca di «proporre la via della Chiesa, maestra di umanità, a un mondo cambiato dalla pandemia, a donne e uomini alla ricerca di un significato e di una speranza per la loro vita».
Per monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita «è urgente ripensare globalmente la prossimità della società verso gli anziani».
Marco Trabucchi: «I vecchi sono generosi e attenti al mondo»
Come ripensare, allora, questa prossimità? In che modo possiamo aiutare i nostri vecchi a vivere il loro tempo, nella ricerca degli «anni possibili»?
Ci accompagna nella riflessione il professor Marco Trabucchi, medico psichiatra, direttore scientifico del Gruppo di ricerca Geriatrica di Brescia, professore di Neuropsicofarmacologia all’Università Tor Vergata di Roma e presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria. Da anni si occupa di anziani con importanti studi sulla loro condizione clinica e, soprattutto, grazie al contatto quotidiano con tanti pazienti.
«I mezzi di comunicazione presentano con frequenza storie di anziani formidabili – afferma il docente –, persone che compiono azioni straordinarie, come la signora Licia Fertz di Viterbo, che a 91 anni conta 120 mila follower sui social, o l’americana Wally Funk di 82 anni, che si appresta a esplorare lo spazio per coronare il sogno che, con vicende alterne, l’ha accompagnata per tutta la vita. Non è di loro, però, che dobbiamo occuparci pensando agli “anni possibili”, perché loro hanno saputo scegliere uno stile che rende pieni di vita i loro giorni e, quindi, di molte possibilità i loro anni. Ci interessano, invece, i milioni di nostri concittadine e concittadini che affrontano con coraggio e determinazione il trascorrere degli anni, senza rinunciare a dare un senso al tempo, facendo ogni giorno passi avanti, con serenità ma non senza fatica, talvolta con impegno eroico, talaltra con drammatici fallimenti».
Ma chi sono questi anziani? «Sono i vecchi che assistono altri vecchi – spiega Trabucchi –, i vecchi che aiutano la crescita dei bambini, i vecchi che continuano a lavorare per aiutare economicamente i famigliari più giovani, i vecchi che pensano a come contribuire con le più diverse modalità allo sviluppo delle comunità, i vecchi che temono per la propria salute, perché una malattia potrebbe rompere la catena di legami che si sono creati intorno a loro e vivono grazie a loro (la molto studiata rete informale che garantisce vita buona al pari di qualificati interventi clinici).
Questi vecchi costruiscono ogni giorno i propri anni possibili, impegno al quale è doveroso dare supporto concreto e accompagnamento psicologico. Vi sono, però, anche i vecchi che soffrono per la fatica di vivere, per le malattie, quelli soli, quelli che hanno il senso di colpa per non essere riusciti a realizzare le proprie speranze; per questi gli anni sono più difficili e hanno bisogno di tanto aiuto per costruire piccole nicchie di “possibilità”».
L’amore ricevuto e donato
Troppo spesso si guarda alle persone anziane con disattenzione, con pregiudizio. «Tanto sei vecchio...». Invece, raccogliere una storia, soprattutto quella che si fonda sulla relazione e la vicinanza, è spesso il modo per salvare la vita dell’anziano dalla dimenticanza collettiva e, quindi, dall’irrilevanza umana.
«Il vecchio è storia, per sé e per gli altri. Non si deve limitare il suo essere nel mondo a considerazioni sulla sua debolezza, come talvolta si tende a fare. La sua vita è il frutto di un insieme complesso di circostanze, per cui debolezza o forza sono il risultato di fattori tra loro intrecciati in modo spesso poco comprensibile» aggiunge il professor Trabucchi.
Oltre alla lettura delle condizioni di salute è necessario riconoscere che la vita dell’anziano è caratterizzata da alcuni comportamenti stabili: una sorta di imprinting comportamentale che accompagna l’età avanzata. Uno di essi riguarda la consapevolezza della necessità di riconoscersi, anche da anziani, nello specchio degli altri, per continuare a vivere.
«I vecchi hanno compreso questa esigenza: sono generosi e lo dimostrano in molte circostanze, sia all’interno della famiglia sia nei luoghi di vita collettivi – insiste Trabucchi –. Chi è che oggi assiste i moltissimi anziani del nostro Paese affetti da gravi limitazioni dell’autosufficienza? Vi sono oltre un milione di “badanti”, centinaia di migliaia di figlie, nuore e nipoti; a questi, però, si deve aggiungere un’ampia quota di anziani che si prendono cura con gentilezza e affetto di altri anziani, per onorare il legame di coppia iniziato molti decenni prima, ma anche solo in nome di un’antica consuetudine».
I vecchi sono molto attenti al mondo, osservano tutto ciò che li circonda con grande attenzione e curiosità. «Si guardano attorno criticamente (e non guardano tutto il giorno la televisione, come indicato da certa retorica). Hanno voglia di capire, di non essere passivi di fronte ai cambiamenti, di non recitare la parte di chi accetta o rifiuta acriticamente quello che avviene intorno a loro. Sono in grado di fare sintesi, mediamente positiva, senza criticismi a priori; così il loro parere diventa utile anche per i giovani».
Patto tra generazioni
La prima medaglia d’oro italiana alle Olimpiadi di Tokyo è stata quella di Vito Dell’Aquila, 20 anni, campione di taekwondo. Vito porta lo stesso nome del nonno, morto un mese prima. «Dedico a lui questo importante traguardo. È stato mio nonno il primo a crederci. Fino all’ultimo mi ha detto: “Vito, tu vincerai”». Dedica e videochiamata in diretta al nonno per Odette Giuffrida, 26 anni, bronzo nello judo. E Mirco Zanni, 23 anni, bronzo nel sollevamento pesi, all'indomani della medaglia ha detto: «Nell'ultima prova mio nonno mi ha guardato “da lassù”». Tre storie, tra le tante, che narrano del legame stretto che generazioni, pur anagraficamente lontane, sanno costruire.
Uno dei più convinti sostenitori della necessità di un patto intergenerazionale è papa Francesco.
Un tema divenuto, da subito, tratto distintivo del suo pontificato. Sono loro, ha osservato Francesco, classe 1936, a essere spesso le prime vittime della «cultura dello scarto», come ha ripetuto anche il 25 luglio scorso, nella prima Giornata mondiale dei nonni e degli anziani da lui istituita. Sempre loro, per il Papa, possono tracciare, insieme, cammini inesplorati per un futuro possibile.
«Se i giovani sono chiamati ad aprire nuove porte – spiegò nella Messa per i consacrati, il 2 febbraio 2018 – gli anziani hanno le chiavi. [...]. Non c’è avvenire senza questo incontro tra anziani e giovani; non c’è crescita senza radici e non c’è fioritura senza germogli nuovi. Mai profezia senza memoria, mai memoria senza profezia; e sempre incontrarsi».
Il Papa indica il sentiero su cui giovani e anziani possono incrociare i loro passi: il terreno, rischioso, è quello dei sogni: «Chi se non i giovani può prendere i sogni degli anziani e portarli avanti?». Francesco ama richiamare la profezia di Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». «I nonni – ha detto ancora il Papa – sognano quando i nipoti vanno avanti, e i nipoti hanno coraggio quando prendono le radici dai nonni». «Difendiamo i sogni come si difendono i figli». E ancora: «Le chiusure non conoscono gli orizzonti, i sogni sì». Il Papa affida ai giovani una grande responsabilità. «Tu – afferma in un messaggio ideale a ogni ragazzo e ragazza – non puoi portarti tutti gli anziani addosso, ma i loro sogni sì, e questi portali avanti, che ti farà bene».
Tra sogni e speranze
C’è un’attitudine che gli anziani non hanno mai perso: quella alla speranza. «I nostri vecchi sperano. È un atteggiamento quasi obbligatorio per evitare la depressione, ma non solo – conclude Trabucchi –. Sperano di continuare a vivere, a respirare (funzione che, dopo il virus, ha assunto un peculiare significato simbolico), ad amare. Sperano che gli altri vogliano loro bene, che il mondo sia guidato dalla pace.
Sperano che non si pensi solo al progresso economico, ma che questo sia la base per una giustizia che coinvolge tutte le età. Il vecchio, d’altra parte, è speranza per il mondo, perché con la sua storia e la sua esperienza aiuta a costruire il futuro. I vecchi possono perdere la memoria: conservano, però, il feeling without memory (una definizione della letteratura scientifica americana), cioè la capacità di comprendere le situazioni che hanno caratterizzato la loro vita, in particolare l’amore ricevuto, anche se ciò non è fondato su un processo logico.
Le emozioni sopravvivono più a lungo della memoria dei fatti. Le emozioni non ci abbandonano, nemmeno in condizioni di grave malattia, e caratterizzano le relazioni con gli altri. Il loro colore rende opaca o serena la vita nel trascorrere degli anni, cancellando o incrementando il “tempo possibile”. Ogni comunità dovrebbe essere in grado di valorizzare le emozioni positive, quelle indotte dall’amore ricevuto e donato: sono l’humus indistruttibile sul quale costruire la vita a tutte le età».
Proprio agli anziani papa Francesco chiede, in questo tempo non facile, un surplus di coraggio: «Volgete lo sguardo dall’altra parte, ricordate i nipoti e non smettete di sognare. È questo che Dio vi chiede: di sognare».
Puoi leggere il dossier completo nel numero di settembre 2021 dell'edizione nazionale del «Messaggero di sant'Antonio». Prova la versione digitale!