Ogni meta riserva un bene
«Concluso il capitolo (...), solo Antonio restò abbandonato nelle mani del ministro generale, non essendo stato richiesto da nessun provinciale, come quello che, essendo sconosciuto, pareva un novellino e buono a nulla» (Assidua, 7) Â
Duecento chilometri per frate Antonio il «portoghese», da Assisi a un sito bello e franoso sopra Forlì. Concluso il «capitolo delle stuoie» – primavera 1221 –, frate Antonio parte in comitiva per Montepaolo, presso Dovadola (FC), a quattrocento metri di altezza. Francesco ha inviato frati in tutte le direzioni, dalla Terra Santa fino alle terre estreme d’Europa: sono frati giovani e in forma, vogliono attraversare la propria vita di corsa e, di corsa, coinvolgere tutti nel Vangelo di Gesù.
Quale passione li muove? Semplice: è bello aiutare a vivere con più speranza tante esistenze precarie e dolenti. Ma frate Antonio non sapeva dove andare e con chi andare, non era stato scelto per una mission impossible (missione impossibile, ndr), come forse gli sarebbe ancora piaciuto; era stato là , tra quegli uomini vestiti di sacco, stupito dalla forza di coesione e di slancio che solo un grande ideale assicura. Tuttavia, durante le solenni Messe capitolari, si sarà con naturalezza accostato ai celebranti, evidenziando il suo essere frate/sacerdote, cosa rara nel primo francescanesimo. Aveva trovato poi il coraggio di chiedere a frate Graziano, la guida dei fraticelli forlivesi, di andare con loro.Â
E azzecca: un frate sacerdote ci vuole ben lassù nella selva, così la domenica non si dovrà più calare in qualche pieve per Messa e Sacramenti. Servire i frati come sacerdote è motivo buono per partire e mettere a profitto la sacra ordinazione ricevuta a Coimbra. Ad Assisi ha assimilato il pensiero di Francesco sul sacerdozio, che consente di avere sempre il Signore Gesù presente tra noi, e sui sacerdoti, da rispettare e amare anche quando sono «poverelli», cioè fragili e mancanti. Una settimana o forse più di cammino, a seconda di quanto si è raccolto con l’elemosina o di quanto, invece, è stato frutto di alcuni casuali lavori: qualche frate sapeva magari riparare un utensile o ferrare un cavallo. Poi le notti in qualche fienile o sotto un porticato, carezzati dalla brezza estiva, e forse qualcuno sapeva suonare lo zufolo, cantare una lauda...
Piaceva ad Antonio la nuova compagnia? Capivano, questi, il suo incerto parlare italico? Cosa sarebbe stato della sua sapienza biblica, in quei boschi di caprioli e di conigli selvatici, e tra confratelli appena capaci di recitare «Padre nostri»? Ma lui sapeva – e gli bastava – che avrebbe incontrato ancora Chi lo aveva voluto salvo dal mare. Anche oggi, nel 2018, a Montepaolo in molti aspettano che arrivi un sacerdote per la Messa domenicale: i frati, ormai pochi, sono dovuti partire lasciando come custodi del luogo Marisa e Giorgio, due bravi cristiani che si prendono cura di tutto. Sant’Antonio ha abbandonato Montepaolo e i suoi pellegrini? No, ogni fine settimana il vecchio eremo di Antonio e dei suoi amici vedrà arrivare ancora un frate sacerdote, e il secondo week-end di settembre sarà il mio turno.Â