Oltre la polvere
Polvere. Sottili particelle che si infilano dappertutto e che ricoprono di un manto più o meno grigio la realtà che ci circonda. Sembra quasi una lotta quella che dobbiamo sostenere contro queste invisibili entità, con l’intento di mantenere pulito e sano l’ambiente in cui stiamo. È un combattimento continuo e senza fine, perché sempre nuovi contingenti di polvere giungono a insidiare mobili, pavimenti e lampadari. Più grande è lo spazio, maggiore è il lavoro da fare: pensiamo ai grandi edifici, come le chiese, nelle quali una sottile coltre bianca va a invecchiare le statue, specie quando sono di colore scuro. Nei giorni in cui il sole splende, soprattutto nelle grandi città, dove l’inquinamento atmosferico è maggiore, è possibile vedere in controluce quasi una pioggia di particelle, innumerevoli e imprendibili.
In questo senso, la polvere diventa immagine di ciò che è effimero, volatile e passeggero, ma che al depositarsi forma uno strato opaco, impenetrabile, che nasconde la realtà. È quanto sperimentiamo nel cammino spirituale, quando finiamo col «coprire di effimero il desiderio di Dio che portiamo nel cuore» – come dice una preghiera rivolta a san Francesco d’Assisi –, attraverso la polvere dell’apatia e della sfiducia, di quelle cose piccole di cui riempiamo la nostra vita ma che non sono capaci di darle davvero senso, anzi, lo offuscano.
Come le statue in certe chiese, forse anche la nostra fede è coperta di polvere e ha bisogno di essere spolverata, o meglio, rispolverata. Il cammino di Quaresima, che ogni anno ci viene proposto, ci invita a fare pulizia, a riscoprire il cuore di quanto viviamo. E proprio all’inizio di questo percorso c’è un gesto, quello dell’imposizione delle ceneri, che ha a che fare con la polvere, anche se in un senso differente da quello detto finora. «Polvere sei e in polvere ritornerai» è una delle formule rivolte ai fedeli che ricevono le ceneri; la frase si trova tra le parole di Dio dette in seguito alla disobbedienza di Adamo ed Eva, cacciati dal giardino di Eden: dopo aver faticato per guadagnarsi da vivere, l’uomo tornerà alla terra dalla quale è stato tratto (cfr. Gen 3,19). Potrebbe sembrare una visione materialista dell’uomo, ridotto a essere considerato polvere. In effetti, però, rileva un aspetto importante: siamo fatti di materia, il nostro corpo, per quanto complesso, è un aggregato di particelle, così come tutto l’universo che ci circonda.
È davvero meraviglioso quanto si possa fare a partire dalla polvere! Ce lo testimoniano, ad esempio, le spettacolari immagini che ci vengono dall’osservazione dello spazio (specialmente grazie al nuovo telescopio spaziale James Webb), in particolare le nebulose, ammassi di gas e polveri che sono fucine di nuove stelle oppure resti di sistemi stellari. Il comune aspetto materiale ci invita a valorizzare tutta la realtà in cui siamo, sentendoci parte di essa. Eppure non siamo solo polvere, in noi c’è un soffio vitale (cfr. Gen 2,7), condiviso con gli altri esseri viventi, ma unico nel suo genere: la nostra natura umana è caratterizzata dalla coscienza e da una particolare capacità di comprensione della realtà, che ci permette di dar valore e significato alle cose.
Questi aspetti dell’essere umano non sono riducibili alla complessità della materia di cui siamo fatti. Sono un dono, ricevuto dal Creatore, che ha amato (e ama) in modo particolare questa polvere che siamo; un dono che ci rende responsabili della cura della casa comune, nel coltivare e custodire quanto ci è affidato (cfr. Gen 2,15). Le realtà terrene (fatte di polvere) possono essere usate per causare morte e distruzione (come testimoniano le guerre e l’insufficiente attenzione ecologica), ma anche per esprimere in modo concreto la nostra capacità di amare.
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