Lingua benedetta
Il 15 febbraio si celebra la festa della Traslazione del Santo; la data fa riferimento alla traslazione del 1350, quando il corpo di sant’Antonio è stato trasferito nella cappella dell’Arca, dove si trova attualmente. Questa festa ha anche un secondo nome: festa della Lingua, la reliquia più preziosa del Santo, che veniva portata in processione proprio in questo giorno, sino a fine Seicento. Brevemente, ricordiamo la storia della lingua: nel 1263, alla prima ricognizione del corpo di Antonio, 32 anni dopo la sepoltura, il generale dell’ordine, Bonaventura da Bagnoregio, rinvenne la lingua «fresca, rossa e bella, come se il padre santissimo fosse appena morto» (così narra una delle più antiche biografie, la Benignitas). Un mirabile prodigio, che san Bonaventura acclamò con queste devote parole:
O lingua benedetta,
che sempre hai benedetto il Signore
e lo hai fatto benedire dagli altri,
ora appare chiaramente che grande merito
hai avuto davanti a Dio!
Una lingua che benedice. Ma lo stesso Antonio ci avverte che la lingua può far molto male. Nel Sermone della XVI domenica dopo la Pentecoste, afferma: «con la lingua pecchiamo in tre modi: con l’adulazione, con la detrazione e con l’assumere cibo e bevanda oltre il necessario. Aduliamo chi è presente, critichiamo chi è assente, siamo schiavi del piacere della gola».
Con la lingua, però, si può fare anche tanto bene: la preghiera, la lode, il buon consiglio e l’esortazione. Ma Antonio ha a cuore soprattutto un comportamento: quello di frenare la lingua nella difficile disciplina del silenzio. In questo ci aiuta la natura, che «ha collocato due porte davanti alla lingua: i denti e le labbra, proprio perché quella meretrice, che ama sempre il luogo pubblico, non vada fuori in piazza, “loquace, randagia e insofferente di pace” (cfr. Pro 7,10-11). Serra dunque i denti, stringi le labbra, affinché la meretrice non entri nel lupanare» (cfr. Sermone della Domenica delle Palme).
Un’immagine forte, che però sottolinea quanto sia facile perdere il controllo della lingua (e lo sappiamo bene!); addirittura, Antonio, citando Catone, ritiene che «la prima delle virtù consista nel tenere a freno la lingua». In che modo farlo? Conservando il segreto delle buone azioni e le confidenze degli altri, moderando il turbamento dell’animo e parlando con prudenza. Ma soprattutto imparando ad ascoltare l’altro, a partire dalla Parola di Dio, che Antonio ha sempre custodito nel suo cuore.
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