La verità sui frati francescani
Spesso mi capita di incontrare persone che, appena ti vedono, subito recuperano dalla loro mente la propria immagine del frate e la confrontano con te. E allora lì può nascere di tutto, dalle domande più strane alle situazioni più imbarazzanti. Qualche volta mi diverto a girare la domanda a chi me la sta ponendo e a sentire qual è la sua idea prima di raccontare di me: è davvero sorprendente scoprire cosa può saltarne fuori! Di certo, almeno qui in Italia, noi frati abbiamo ancora il privilegio di essere dentro l’immaginario comune: se uno dice «frate francescano» quasi tutti hanno una vaga idea di che cosa si sta parlando! A dire il vero, forse, le nuove generazioni un po’ meno! Mi è capitato, per esempio, che ad Assisi qualcuno mi chiedesse se ero un figurante pagato dal comune, oppure che per strada a Padova un bambino mi scambiasse per un jedi di Star Wars.
Però c’è anche un aspetto bello: l’idea della «fraternità» è una cosa che passa subito e ci caratterizza. Infatti normalmente le persone ci pensano come «i frati», cioè come gruppo prima che come singoli. E questo è magnifico: se anche fosse l’unica cosa che comunichiamo, già andrebbe bene! Bisogna dire, però, che «l’universo fratesco» rimane qualcosa di misterioso, di affascinante, che muove curiosità, e fa pensare normalmente a una vita strana, incomprensibile, difficile (quando va bene…). Pressappoco come quella di guerrieri alieni… Altre volte, invece, la nostra vita sembra persino ridicola dentro alla società contemporanea («Dove vai vestito con le gonne lunghe come mia nonna?»), come se fosse semplicemente qualcosa di passato, come se noi frati fossimo davvero rimasti «fuori tempo». Ecco allora una serie di post in cui vogliamo divertirci insieme a smontare alcuni di questi luoghi comuni su noi frati francescani, provando ad essere più concreti possibile, facendoci anche qualche risata!
Luoghi comuni sui frati
È vero che sono sempre chiusi in convento?
Tra i tanti luoghi comuni su noi frati, questo è sicuramente il più ricorrente. Soprattutto quando mi capita di incontrare dei giovani, l’idea fissa è sempre la solita: è vero che i frati sono sempre chiusi in convento? Perché una vita in «prigione»? Che senso ha? Questa errata convinzione, nasce da una non chiarezza circa due vocazioni di vita religiosa, simili in alcuni ambiti, ma anche ben diverse tra loro: quella del monaco e quella del frate francescano. Sono i monaci, infatti, a condurre la loro vita di consacrati esclusivamente (o quasi) all’interno del monastero (tra preghiera e lavoro), in un luogo volutamente chiuso e stabile. Il convento francescano è, invece, per sua natura un luogo aperto e dinamico (infatti deriva da «con-venire», ritrovarsi insieme), un luogo in cui i frati (e non solo!) si incontrano, dialogano e progettano per poi ancora uscire. Un luogo dove si arriva e da dove si parte. Per andare dove? Per stare tra la gente, per condividere evangelicamente, spalla a spalla, la vita quotidiana di ogni uomo e donna. L’itineranza e la mobilità sono, dunque, caratteristiche proprie francescane.
Ma in effetti, che un consacrato se ne andasse per il mondo e stesse in mezzo alla gente non era così scontato già ai tempi di san Francesco. Anch’egli, inizialmente, non era del tutto sicuro e convinto di intraprendere questo nuovo stile di vita: la decisione gli sarà suggerita dall’Alto! Ecco cosa scrive al riguardo san Bonaventura, raccontando la nascita del primo convento francescano al mondo (il nostro «Proto-convento» di Rivotorto): «(Francesco) mosse con i compagni la questione se dovevano vivere abitualmente in mezzo alla gente o appartarsi nei luoghi solitari. Dopo aver indagato con l’insistenza della preghiera quale fosse il volere di Dio su questo punto, fu illuminato da una rivelazione e comprese (…): stabilì che bisognava scegliere di vivere per tutti, piuttosto che per sé solo. Si raccolse con i frati in un tugurio abbandonato, vicino ad Assisi (Rivotorto), per viverci la vita religiosa secondo la norma della santa povertà e predicare alle popolazioni la parola di Dio, secondo l’opportunità del tempo e del luogo. Divenuto quindi araldo del Vangelo, si aggirava per città e paesi, annunciando il regno di Dio non con il linguaggio dotto della sapienza umana, ma nella potenza dello Spirito Santo» (dalla Vita di san Francesco; LMin 2,5; FF 1343B). E infatti lo stesso Francesco, poi scriverà a tutti i suoi frati: «Ascoltate, miei signori, figli e fratelli: lodate il Signore, poiché è buono, ed esaltatelo nelle opere vostre, poiché per questo vi mandò per il mondo intero, affinché rendiate testimonianza alla voce di lui, con la parola e con le opere, e facciate conoscere a tutti che non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui» (dalla Vita di san Francesco; LettOrd; FF 216).
Per questi motivi, anche noi, frati del 2022 (più di 800 anni dopo), abbiamo sì nel convento la nostra casa (dove viviamo in fraternità, dove ci ritroviamo per pregare insieme più volte al giorno, dove ci prepariamo e pure ci riposiamo…), ma siamo poi «in uscita» ogni giorno nei posti più disparati: nelle case, nelle parrocchie, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, per le strade, nei santuari, nelle comunità e persino in lontane terre di missione. Il frate francescano è sempre «un pellegrino e un forestiero» (san Francesco).
«Eh, ma voi frati vivete fuori dal mondo, non li conoscete i problemi della gente!». Anche questo mi sono sentito dire più di qualche volta! Effettivamente in convento non ci sono bambini che ti svegliano alle tre di notte o altre situazioni proprie di chi ha famiglia (il lavoro, la scuola, i figli…). Però, mi chiedo: forse che passare ore in un confessionale, o dedicare tempo all’ascolto come al conforto o alla guida di tante persone verso Gesù, non ti mette a contatto con i problemi della gente? Forse che percorrere le corsie di un ospedale o le sezioni di un carcere o di una comunità di giovani tossicodipendenti, occuparti dei poveri, non ti fa incontrare le ferite più sanguinanti di questa umanità? Stare nelle scuole, nelle parrocchie, in un oratorio, andare per le case o in terra di missione nel nome di Gesù, non ti sbatte forse in faccia la realtà più concreta della vita di ogni uomo o donna, giovane o anziano che sia? Anche la nostra preghiera quotidiana non è forse un avere a cuore e un portare davanti al Signore le reali situazioni delle persone, come del mondo intero?
Quando qualcuno chiedeva ai primi frati dove stesse il loro chiostro (il porticato a quattro lati, il luogo simbolo della clausura monastica), questi lo conducevano su un colle e gli mostravano «Tutt’intorno la terra fin dove giungeva lo sguardo, dicendo: “Questo è il nostro chiostro!”» (SacCom 63; FF 2022). Il mondo intero è il nostro chiostro! E se ci sono delle sbarre, se ci sono delle prigioni in questo nostro povero e amato mondo, beh, allora è proprio lì che vogliamo andare, per portarci il Signore Gesù, metterlo in mezzo al suo popolo, e lasciare che Lui possa fare ciò per cui è venuto: «liberare i prigionieri!» (Lc 4,18).
Che ne pensi di questo luogo comune su noi frati?
A presto, una preghiera!
fra Nico – franico@vocazionefrancescana.org
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