Parole che «aprono»
«Antonio si alzò a parlare in modo semplice. I frati, colpiti da stupita ammirazione, prestavano concordemente attenzione. Lo stupore aumentava per la profondità inaspettata delle sue parole, ma non di meno per lo spirito con cui parlava e per la sua ardentissima carità» (Vita Assidua, 8).
Uno capace di «stare sul pezzo». Quando si dice così, di una persona che sa parlare in modo persuasivo, intendiamo dire che riesce a non divagare inutilmente, non essere troppo generica, non essere astratta. Tre cose che invece ci fanno sbuffare quando le sperimentiamo. O anche arrabbiare. In maniera del tutto diversa viene descritto sant’Antonio dopo la sua predica a Forlì. La sua parola è qualificata come profonda, di spirito, ardentissima di carità. La profondità. Iniziamo da qui.
La profondità di un discorso va di pari passo con la cura a non perdersi in tanti giri di parole, che spesso hanno il solo obiettivo di mascherare il nulla. Capita talvolta di stare a sentire persone che la tirano lunga per niente. E mentre le ascoltiamo, ci domandiamo: «Che cosa stanno dicendo? Non riesco a capire». Ahimè, forse ci sentiamo pure poco intelligenti, perché non riusciamo ad afferrare alcun senso. In realtà, non siamo noi il problema; il problema sta piuttosto dalla parte di chi parla pur non avendo niente da dire. Solo cose banali e vuote, dette per obbligo o per la smania di stupire o, peggio ancora, per confondere l’altro tra mille rivoli di parole insipienti. Lo sappiamo: nei pubblici palcoscenici questo accade piuttosto spesso. Si dice tutto e il contrario di tutto. L’importante è solleticare l’udito. A chi ascolta rimane il vuoto e la triste sensazione di esserne rimasto fuori.
Seconda: la complicatezza. È altro virus assai di moda. Magari le parole che ascoltiamo sono grammaticalmente corrette, le frasi retoricamente ben confezionate. Capiamo perfino il filo del discorso! Ma ci resta l’impressione di cose estranee alla nostra vita. Quella di Antonio è invece una parola «di spirito». Con la «s» minuscola. Non è necessario invocare lo Spirito Santo. Si parla con spirito quando riusciamo a dire di noi, a fare tesoro della nostra personale esperienza, a condividerla. I fatti vissuti, le persone incontrate, le tristezze e le gioie che abbiamo dovuto attraversare: tutto questo entra nel nostro parlare. E le parole prendono corpo. Anche lo Spirito di Dio agisce così: prende corpo. Non è svolazzo generico ed evanescente, è incisione efficace nel cuore. Si parla con spirito quando non si trasmettono idee generiche, ma si consegna il sapore buono del pane che ha nutrito la nostra esistenza. Bello poter ascoltare persone così: non hai bisogno di concentrarti troppo, perché la linfa vitale del loro dire incomincia a scorrere nelle tue vene senza troppo sforzo, in maniera quasi naturale.
Da ultima: ardente carità, anzi ardentissima. Sant’Antonio suscitava stupore nei suoi ascoltatori perché era concreto. La carità è infatti quella cosa quanto mai coinvolgente che ti accade quando sperimenti che qualcuno si sta sbilanciando verso di te, gratuitamente, facendoti un gran bene. Quando parlava, Antonio si sporgeva sul serio fuori di sé, a vantaggio di chi lo ascoltava, lasciando segni concreti, cambiando vite, facendo nascere la voglia di ricominciare. «Stava sul pezzo».
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