Una reliquia per Venezia
La protezione di sant’Antonio è sempre stata ricercata nei secoli da ogni categoria di persone, anche dalle istituzioni stesse. In particolare, una pratica molto comune fino al XVII secolo era quella della richiesta di reliquie insigni del Santo da parte dei regnanti dell’epoca. Nel 1580 vengono cedute al re di Portogallo e all’imperatrice d’Austria parti dell’avambraccio del Santo, altre reliquie nel 1593 al principe di Baviera e nel 1610 alla regina di Spagna. I frati e la popolazione di Padova erano preoccupati per la dispersione del corpo del Santo, legata a questi «desideri» dei regnanti (che diventavano comandi), ai quali rispondeva favorevolmente la Serenissima Repubblica di Venezia.
A metà del ’600, il conflitto con i turchi e le sconfitte subite dalla Serenissima portano il doge Francesco Molin a mettersi sotto la protezione di sant’Antonio. E il 29 febbraio 1652 viene richiesta una reliquia del Santo, da conservare sopra l’altare che sarebbe stato eretto in suo onore presso la Chiesa della Beata Vergine della Salute. Questo «desiderio» viene accolto da Padova, che stabilisce di donare a Venezia due terzi della reliquia dell’osso del braccio di sant’Antonio, che si trovava nel reliquiario del mento del Santo. Allo stesso tempo, però, il consiglio cittadino supplica che non vengano più concesse a nessuno ulteriori reliquie. Il doge accoglie con gratitudine il dono e soddisfa la richiesta di Padova, stabilendo «con decreto positivo, che non possi esser data ad alcuno qualunque portione di reliquia» nemmeno fosse un principe a domandarla (13 marzo 1652). Un documento provvidenziale, perché circa quarant’anni dopo, nel 1696, la Serenissima richiede un’altra reliquia per conto della Spagna: grandi le proteste della città che, infine, si rifà al decreto del 1652. Il doge di allora, Silvestro Valier, accoglie l’istanza di Padova, mantenendo fede a quanto aveva deciso in precedenza il Senato.
Il trasporto della Reliquia
Il racconto del trasporto a Venezia è documentato da uno storico del periodo, Sertorio Orsato, che nel 1653 pubblica il testo Le grandezze di S. Antonio di Padova (fonte principale del testo che segue). La sera di sabato 8 giugno 1652 si procede alla resezione dell’osso da parte del vescovo di Padova, Giorgio Carrer. Inizialmente l’operazione doveva farsi a porte chiuse, ma il popolo padovano era accorso, e vano era stato il tentativo di farlo defluire. Il taglio con la lima viene vissuto in modo viscerale, i cittadini convenuti «gemevano afflitti, sospiravano pietosi», pur consolati dal fatto che la reliquia veniva offerta al loro principe. Nel mattino del giorno seguente, domenica 9 giugno, il tempo è piovoso; poiché i canali di Padova sono pieni di acque ed è impossibile passare sotto i ponti della città, viene modificato il percorso inizialmente previsto. Dopo aver celebrato la Messa presso l’arca di sant’Antonio, la reliquia viene recata dalla Basilica fino alla casa del signor Nicolò Vigonza, nei pressi dell’attuale galleria di San Bernardino; la solenne processione vede in testa i Mendicanti, seguiti dagli Orfanelli della città, e poi, tra gli altri, i frati francescani e, al centro, il baldacchino con la reliquia in mano al vescovo, attorniato dai cantori dell’Arca.
Quattro burchielli aspettano alla casa del Vigonza per la partenza: nel primo salgono venti frati conventuali; nel secondo i cantori dell’Arca col maestro di cappella e l’organo, «i quali di quando in quando per tutto il viaggio, o che si camminasse soli, il che fu poco, o che s’incontrassero processioni, e barche di divoti, che fu quasi di continuo, formavano soavissimi concerti»; nel terzo, su un ricco altare viene posta dal vescovo la reliquia, tenuta in mano dal guardiano del Santo per benedire la gente, accompagnato da altri frati; nell’ultima, alcuni rappresentanti della città e i presidenti secolari dell’Arca. Si parte dopo la pioggia, verso mezzogiorno, e la processione fluviale attraversa le porte Contarine e passa per molti paesi lungo il canale che conduce alla laguna: durante tutto il percorso, un’infinità di gente accorre, e «come è impossibile render tenebrosa la luce, altretanto è vano il tentar di spiegare le dimostrazioni, le tenerezze, il giubilo, che con le lagrime, con le adorazioni tutto quel numerosissimo concorso, concordemente esprimeva». Le chiese lungo la riva festeggiano con le campane, con lumi e altri ornamenti; vengono sparati mortaretti e colpi di moschetto, mentre ovunque si canta e si prega il Santo.
Un vento fastidioso, durante tutto il giorno, aveva contrastato il viaggio, ma quando «era poco discosta la caduta del Sole [...] quel vento impetuoso, [...] all’arrivo che nelle Lagune fece quel Tesoro singolare, cessò di subito concedendo quel commodo al viaggio». L’arrivo in laguna è spettacolare: innumerevoli gondole si avvicinano per riverire alla reliquia; poi, appena entrati nel canale della Giudecca, iniziano a suonare tutte le campane della città, a partire da quelle di San Marco, e continuano per tutto il tempo. Alle 22 circa, il convoglio giunge alla piazzetta di San Marco, dove il primicerio Benedetto Erizzo riceve la reliquia dai rappresentanti della città di Padova e la reca nella Basilica di San Marco. Da lì, il 13 giugno, con solenne processione, viene traslocata nella Chiesa della Salute, nella quale risiede ancora oggi. Nel 2021, la reliquia è stata temporaneamente riportata nella Basilica del Santo, il 13 giugno, toccando luoghi significativi del periodo della pandemia e poi è ritornata a Venezia per lo stesso tragitto fluviale del 1652.
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