Possa la strada venirti incontro
Marzo 1221. Il naviglio di frate Antonio si sfascia sugli scogli della Sicilia orientale. È naufrago, malconcio, ma vivo. Milazzo ne conserva gelosa memoria in un piccolo santuario scavato nella roccia, a strapiombo su un bellissimo mare.
Qui Antonio diventa italiano, qui la deriva si trasforma in arrivo. Incontra subito altri discepoli di Francesco d’Assisi, che vivono in lieta povertà nella vicina Messina. E subito diventa messinese di adozione. Gli si assegnano, qui, due miracoli: l’acqua fatta sgorgare per placare la sete dei frati e la mattonella intrisa del suo sangue di penitente.
Ma questa bella città, di cui il Santo è patrono e cittadino onorario, festeggiato con due processioni l’anno, è solo una tappa di un cammino ancora lungo. Siamo in primavera e i frati minori sono soliti raggiungere – tutti o quasi – Assisi, per un meeting detto «Capitolo di Pentecoste», vale a dire: per incontrare una volta ancora frate Francesco, per riprendere insieme nuovo slancio evangelico e, infine, per qualche giorno di ritemprante cameratismo.
Antonio parte con loro, precario nella salute, assetato di futuro. Messina-Assisi, 846 chilometri, naturalmente pedibus, camminando. Per l’uomo medievale il viaggio è vita, metafora della condizione umana tesa al compimento di un destino, anche oltre la vita e il tempo.
Per noi oggi viaggiare significa spostarsi nel modo più rapido possibile o per un lavoro o per una super programmata vacanza, in cui nulla di imprevisto «deve capitare». In altri tempi, il viaggio – del pellegrino, del mercante, dell’intellettuale – era denso di eventi e circostanze impreviste e imprevedibili, vissuti come occasioni di apprendimento.
Dei frati di Messina forse nessuno era destinato a ritornare al luogo di partenza: sapevano di avere per chiostro il mondo e di eessere aperti a ogni relazione. Antonio fu così confermato nella provvisorietà evangelica e nell’abbandono alla Provvidenza.
Il suo fu un noviziato itinerante: imparò a pregare insieme ai nuovi fratelli; imparò, con pazienza, ad ascoltarli e a capirli; imparò a sopportare i disagi; e, ancora, imparò i tempi del parlare e del tacere, secondo la regola di san Francesco.
Diventò, camminando, amico di una lingua e di una terra che gli venivano donate. Condivise alloggi di fortuna, cibo povero guadagnato con qualche piccolo lavoro insieme ad altri poveri, come prevedeva la stessa Regola.
E nel cuore gli echi di una preghiera, attribuita a san Patrizio d’Irlanda: «Possa la strada alzarsi per venirti incontro. Possa il vento soffiare sempre alle tue spalle. Possa il sole splendere sempre sul tuo viso e la pioggia cadere soffice sul tuo giardino. E fino a che non ci incontreremo di nuovo…».
Pregando e camminando il cuore si dilata.