Un provvidenziale naufragio

Vedendo di non poter condurre a compimento nulla di quanto si era proposto, per recuperare almeno la salute del corpo, frate Antonio fu costretto a tornare verso la terra nativa. Durante la navigazione, però...
04 Aprile 2018 | di

«Vedendo di non poter condurre a compimento nulla di quanto si era proposto, per recuperare almeno la salute del corpo, (frate Antonio) fu costretto a tornare verso la terra nativa. Durante la navigazione, però, mentre si apprestava ad approdare in suolo di Spagna, per l’impeto dei venti…» (Assidua 6)

 

Il mare di Alborán dove si trova? È un mare spesso inquieto e, seguendo il nostro sant’Antonio nella sua missione in Marocco, ho capito che si tratta del bacino che, posto tra il golfo di Gibilterra e il Mediterraneo, unisce Europa e Africa, al di qua delle celebri «colonne d’Ercole». Verso questo mare frate Antonio, sfinito dalla malattia, viene imbarcato, nel marzo del 1221, nel porto di Ceuta, enclave spagnola sullo stretto di Gibilterra. Antonio viene affidato alla carità del capitano di una «nave traghetto» per una attraversata che non avrebbe dovuto essere lunga, e… si torna a casa.

Egli ha «fallito» il proposito missionario, ha dovuto fare i conti col proprio corpo, al quale forse aveva badato solo per tenerlo nel santo timor di Dio. Forse ha ascoltato l’indicazione di un buon medico musulmano di avere rispetto di se stesso; e ne farà tesoro. Nella predicazione non sarà mai denigratore – anche da buon francescano! – della attenzione che si deve al corpo, al cibo, al riposo, anche se non sarà tenero verso le mollezze dei gaudenti, comprese quelle di qualche prelato.

Affidandosi alla nave del ritorno, frate Antonio impara a mettere in pratica ciò che poi dirà: «L’obbedienza è in real­tà obaudientia, un prestare attenzione. Quando la voce del tuo superiore, che è aria, e nulla infatti deve avere della terra, si ripercuote nei tuoi orecchi, devi ascoltarla non con l’orecchio, ma con l’udito dell’orecchio, vale a dire con il sentimento interiore del cuore» (Sermoni, Domenica XII dopo Pentecoste).

Il cuore rimette in moto la vita quando si lascia docilmente «graffiare» da ciò che accade e che nasconde una Voce, una Presenza che ti sussurra: guarda, ascolta, interroga ciò che ti sta capitando. Ma, continua l’Assidua: «… si vide deposto sui lidi della Sicilia». Il tempestoso bacino di Alborán non ha permesso l’approdo alla costa iberica, ha invece sospinto l’imbarcazione in pieno Mediterraneo.

Il biografo è troppo gentile in quel «si vide deposto»; miglia e miglia di deriva, la malattia, e il resto che ben conoscono i naufraghi superstiti dei «viaggi della disperazione» di oggi, anche loro obbedienti a una misteriosa necessità. La nave, spappolata, non approda a Palermo – più prossima –, ma sbatte sugli scogli di Messina, evento che frate Antonio legge come segno di Dio per proseguire ancora, verso una terra che non conosce.

Rinato esistenzialmente dal battesimo di un mare ostile e da una inaspettata guarigione, rientra sempre più in se stesso, attento e obbediente a nuovi «segni», sempre camminando in avanti. Oggi lo chiameremmo «atteggiamento di mindfulness (consapevolezza)», Antonio la chiamerebbe semplicemente «contemplazione del Mistero».

Una curiosità: Antonio, nei suoi scritti, parlerà sempre bene dei capitani di navi; ne aveva conosciuto uno in gamba, che aveva salvato la pelle ai propri passeggeri.

Data di aggiornamento: 04 Aprile 2018
Lascia un commento che verrà pubblicato