Quando la malattia lascia il segno
Un’infermiera a domicilio, Vlasta, lavora nelle campagne della Moravia. Generosa, puntuale, comunicativa, reca assistenza e conforto a malati confinati nelle loro povere abitazioni, invalidi o isolati in una dolorosa solitudine. Un giorno Vlasta ha un incidente automobilistico e, durante il ricovero, le scoprono casualmente un cancro al pancreas. Prognosi: sei mesi di vita. Vlasta non cade però nel panico: con l’aiuto di una giovane amica, insegnante di ballo e pranoterapeuta, e di una guru, ipnotista, sacerdotessa della reincarnazione e predicatrice di cure alternative, l’infermiera impara a prendersi cura di sé, come non aveva mai fatto prima. L’attenzione al proprio disagio colora l’impegno assistenziale di sentimenti prima rimossi: Vlasta si permette di rimproverare ad alta voce il paziente che si è barricato dietro una pigra paura e lo invita a un impegno di giustizia verso gli altri malati. Vlasta esprime un’irritata protesta invece del solito compatimento verso il marito. Vlasta contesta una medicina meccanica, che mette i cerotti sulle anime, togliendo i sintomi e trascurando le persone. Vlasta ora chiede aiuto, non offre semplicemente gesti di alleanza, ma esige in cambio che il patto sanitario si allarghi, nonostante le ristrettezze economiche. Anche lei è fragile e ha bisogno di una carezza, di un passaggio in auto, di un contatto affettivo, di una parola amica, di una battuta umoristica.
Che cos’è il sacrificio? Alcuni soggetti con personalità depressiva ritengono di non essere persone buone e di aver meritato i rifiuti sperimentati soprattutto nel periodo infantile, sotto la forma di rimproveri, distacchi, perdite. In contesti familiari che impediscono l’espressione del dolore, capita che essi trovino una compensazione in attività altruistiche, che li distraggono dalla concentrazione ostinata sui loro presunti torti, offrono una possibilità di riscatto (se io aiuto qualcuno che sta peggio di me, allora non sono proprio così da biasimare), sostituiscono le proprie ragioni di tristezza con i guai altrui (malattie, povertà, abbandono). In questi impegni oblativi e caritatevoli, essi raccolgono segni di stima e apprezzamento da chi li circonda. Il personaggio di Vlasta incarna tratti malinconici e «sacrificali», ma scopre poco alla volta che è bello compiere il proprio dovere ed è giusto godere della vita, dell’amicizia, della bellezza che ogni giorno ci regala. Riconoscendo i propri bisogni, Vlasta libera il desiderio di bene e dona agli altri la prossimità che ella apprende a ricevere.
La seconda dimensione del sacrificio è quella religiosa. Sacrificare significa, etimologicamente, fare un rito sacro. La voce profetica nella Bibbia ha sempre contestato il pericolo del formalismo delle leggi sacrificali: ciò che conta non è la quantità del sangue versato, ma la profondità della trasformazione del cuore; segni efficaci di purificazione invocano da capo il perdono di un dio che non è invidioso della felicità umana, non giustifica alcuna violenza retributiva, ma si prende cura dei deboli e li libera dal male. Persino la morte, l’ultima nemica, dovrà cadere. A questo maturo impegno di servizio allude anche, laicamente, il film Cure a domicilio. La macchina da presa (sobria e inquieta nei suoi movimenti neorealistici) accompagna la missione di Vlasta come un angelo invisibile e curioso di sapere che cosa sostiene questa donna, quale fede secolare la sorregge, quali visioni alimentano la sua speranza di fronte a una prognosi infausta. Il cinema viene ormai a trovarci a domicilio, grazie alla tecnologia. Non dà risposte facili e non possiede metodi sicuri di guarigione. Apre piuttosto prospettive di cura, ci lega a personaggi sconosciuti, moltiplica la nostra vita per mille altre trame. Propone un patto: sacrificare false visioni per cercare e credere in quella che salva.