Povertà che sempre evangelizzi
Papa Francesco torna ancora una volta ad Assisi, non per una cerimonia, ma per condividere ore di fraternità, di preghiera e di testimonianze con cinquecento poveri provenienti da tutta Europa. Tra loro forse uomini e donne senza dimora, ex detenuti, profughi, minori non accompagnati, persone in vario modo svantaggiate prive di risorse; persone non necessariamente senza denaro, bensì privati di condizioni esistenziali come la salute, i diritti fondamentali, la libertà, i giusti affetti, l’integrazione sociale, la dignità di un lavoro e di una cittadinanza. Forse tra queste persone c’è chi lotta contro dipendenze da alcol, da droga, da gioco d’azzardo; chi è alla prese con comportamenti antisociali; persone vittime dell’Aids. Sono, tutti, nostre sorelle e nostri fratelli che hanno diritto a quell’abbraccio tenero e includente che Assisi sempre suggerisce e che papa Francesco sente come suo grande dovere e come compito principale della Chiesa.
Papa Francesco ha un sogno: che l’abbraccio tenero e includente di Assisi sia di esempio e di monito forte di fronte ai drammi dei poveri nel mondo, da quelli – qualche miliardo purtroppo – che soffrono da sempre il confino nel sottosviluppo, fino alle migliaia di migranti mediorientali stretti in questi giorni tra i confini di Bielorussia e Polonia, rifiutati con fredda determinazione dalle due parti. Nel suo Testamento san Francesco confessa come egli iniziò un cammino di liberazione e di rinascita quando trovò il coraggio di abbracciare un lebbroso, e come da quel momento tutto in lui prese una nuova strada e gli si abbatterono i muri interiori dell’indifferenza per lasciarsi evangelizzare da quell’uomo disfatto. Un uomo sofferente, che era necessario a Francesco perché potesse ri-conoscere veramente Gesù Cristo: il lebbroso fu per Francesco indispensabile maestro.
Non è populistico o «eretico» affermare che i poveri sono il volto di Cristo nel tempo di ogni tempo. Antonio di Padova, il nostro Santo che a Padova visse solo pochi mesi ma che tuttavia riuscì a far modificare uno statuto comunale a favore di persone indebitate senza colpa, si era totalmente immerso nella «sua» Padova: egli aveva ben vivo nel cuore il grido degli affamati, la dura situazione della donna e dei piccoli, la perfidia degli usurai e dei potenti. Rinacque come «il Santo» da un popolo di poveri che egli aveva fatto proprio. In tempi recenti anche padre Placido Cortese, direttore del «Messaggero di Sant’Antonio» negli anni ’40 del secolo scorso, si immerse consapevolmente nella situazione drammatica dei fuggiaschi dal nazifascismo e pagò con la tortura e con la morte il proprio rinascere nei bisogni e nelle ansie di quegli uomini e quelle donne braccati, divenendo in tutto uno di loro, correndo i loro stessi rischi. Oggi come ieri sono attuali le parole di papa Francesco: «Seguire Gesù comporta un cambiamento di mentalità, cioè accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione».
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